Microcompetenze cognitive e abilità mentali

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Esempio dell’addestramento dei Samurai

L’analisi degli atteggiamenti e comportamenti sul piano micro riguarda anche come il pensiero si formula prima e durante la prestazione.

Osserviamo alcune competenze proposte da Musashi nell’addestramento dei Samurai. Ciascuno di questi insegnamenti può essere disaggregato e trasformato in micro-competenza allenabile:

L’atteggiamento che si deve tenere nei confronti dell’Hejò (la via del Guerriero, n.d.a.) è lo stesso che si ha nella vita quotidiana, sia in tempo si pace che in guerra. Il vostro punto di vista deve essere il più vasto possibile quando esaminate la realtà intorno a voi. Siate sereni e non perdete le staffe. La mente deve mantenersi al centro e non fluttuare. Il vostro spirito deve essere saldo, non lasciatevi mai andare, neppure per un attimo. La vostra mente sia lucida, elastica, libera aperta.

Anche quando il vostro corpo riposa state sempre all’erta. Quando vi muovete rapidamente la mente deve rimanere distaccata, fredda, essa non deve essere soffocata dal corpo, né il corpo dalla mente. Affidatevi allo spirito e ignorate la materia.

[1] Musashi, Myamoto (1644), Il libro dei cinque anelli (Gorin No Sho), edizione italiana Mediterranee, Roma, 1985, ristampa 2005.

Ed ancora, in un passaggio successivo:

Colpire il nemico nella giusta frazione di tempo significa saper cogliere l’attimo in cui egli appare indeciso e sferrare il colpo senza muovere il vostro corpo, né alterare il vostro spirito.

Il momento esatto di colpire il nemico, prima che abbia deciso di indietreggiare, parare o assalire, è la “giusta frazione di tempo”.

Un vero professionista di coaching e formazione deve saper prendere questi temi e trasformali in training a livello micro, per poi ricomporre l’intero quadro e dare a tutte le fasi un senso d’insieme.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

Temi e Keywords dell’articolo:

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Deep coaching. Scoprire gli universi Motivazionali: analisi psicologia dei bisogni di coaching e cambiamento.

Il progetto di cambiamento come incontro tra volontà.

Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso.

Fëdor Dostoevskij

Un progetto di coaching, di formazione attiva o cambiamento nelle risorse umane e nelle risorse personali, non è mai frutto della volontà di una singola persona. Come minimo, è necessario che un cliente percepisca uno stato di bisogno e si incontri con un soggetto (formatore o change agent, counselor o consulente, coach) dotato di desiderio o volontà di dedicarsi alla formazione.

La formazione nasce quindi come:

  • risultato di una domanda spontanea espressa dal cliente, il quale attiva una ricerca di formatori, società di consulenza, trainer interni, o altri erogatori possibili; e/o:
  • risultato di una proposizione commerciale di vendita o motivazionale attuata dal lato dell’offerta (domanda stimolata)attraverso iniziative di vendita, seminari, workshop, o altre forme di stimolazione della domanda.

Diffidenza e accettazione verso il coach.

Troviamo forti elementi di verità nell’asserzione storica di Reich, secondo cui:

contrariamente a quanto sostengono molti colleghi, devo continuare ad affermare che ogni paziente, senza eccezioni, inizia l’analisi con un atteggiamento più o meno diffidente o critico, che normalmente rimane nascosto.

Questo porta Reich a sostenere che sia opportuno 

Evitare interpretazioni più profonde dell’inconscio fino a quando esiste la barriera della cortesia convenzionale tra paziente e analista.[2]

Lo stesso tipo di precauzioni e considerazioni valgono per un approccio di coaching. La sensibilità del coach deve portarlo alla comprensione di quando il cliente stia o meno facendo emergere materiale “vero” anziché informazioni deviate dalla necessità di impressions management positivo.

Tipologie del bisogno di formazione: addestramento, formazione, ricentraggio.

Se osserviamo il fronte della domanda di cambiamento e formazione, coaching e consulenza in azienda o tra i privati, dobbiamo prima di tutto distinguere tre grandi “strati” di bisogno: 

(1) addestramento, 

(2) formazione,

(3) ricentraggio. 

Questa classificazione è sicuramente riduttiva rispetto alla realtà composta da una enorme varietà di sfumature, ma serve per chiarire alcuni punti di fondo:

Lo strato inferiore della piramide non mette in discussione alcun principio o credenza di fondo: il cambiamento ricercato è solo superficiale, il ruolo del formatore è prettamente addestrativo e psicomotorio, basato su istruzioni (come si fa per…).

Lo strato centrale (formazione classica) contiene spesso una ricerca latente di “addestramento”, ma comprende dosi (più o meno cospicue a seconda del trainer e del cliente) di azioni di riflessione e di cambiamento negli atteggiamenti, di ricerca di una nuova visione del proprio ruolo o del proprio futuro e del modo di fare. 

Raramente, tuttavia, la revisione del proprio ruolo o del modo di pensare è l’obiettivo centrale della formazione classica, e il focus è più sul cambiare il modo di agire e il risultato di breve periodo. Questo produce una vera e propria ansia da risultato, tale che se x euro vengono spesi in un corso, si cerca di capire se nel trimestre successivo questi x euro siano già rientrati. Questa logica di ricerca del ROI (Return on Investment) a breve termine nella formazione aziendale è deleteria perché confonde l’educazione manageriale con l’acquisto di una attrezzatura quale una stampante o una fotocopiatrice.

Nello strato superiore – il ricentraggio – abbiamo invece le attività di maggiore introspezione, di ricerca di un modo diverso di rapportarsi al lavoro, o alla vita, alla visione dei propri obiettivi. Comprende azioni di analisi e costruzione di un orizzonte nuovo, diverso, la messa in discussione del proprio operato, delle proprie credenze, degli stereotipi che si utilizzano. La Neotropia (ricerca di nuovi poli di attenzione) è il nucleo centrale e fondamentale di questo stadio, e può arrivare persino a toccare il senso profondo della vita, e come la missione personale o manageriale vi possano portare contributo.

Chi, nel cammino della vita ha acceso anche soltanto una fiaccola nell’ora buia di qualcuno, non è vissuto invano

Madre Teresa di Calcutta

La Regia di Cambiamento e la Regia Formativa devono tenere separati gli obiettivi delle tre fasi. Deve essere sempre chiaro al regista se è in corso una fase addestrativa, una fase formativa o una fase di ricentraggio.

Parlando di setting formativo o consulenziale, anche la sede fisica deve essere scelta in funzione del tipo di intervento, il più possibile in azienda per le azioni di addestramento puro, il più possibile lontano dall’azienda, lontano da rumori psicologici, interruzioni e problemi quotidiani per le azioni di ricentraggio, mentre per la formazione si possono prevedere mix di entrambi.

Una Regia consapevole deve essere sempre in contatto con l’obiettivo latente, e fare in modo che ogni elemento della regia sia orchestrato attorno all’obiettivo.

Tenendo a mente questa distinzione, esaminiamo alcune delle principali tipologie di domanda formativa:

I bisogni di formazione espressi dalle imprese sono ampiamente collegati ad un’esigenza di maggiore produttività o sviluppo organizzativo.

Come evidenziano Quaglino e Carrozzi:

 “L’attività di formazione è in larga misura promossa da organizzazioni (industrie, banche, enti pubblici) che vedono in essa uno strumento per migliorare la loro efficienza.

Da questa visione nasce un primo grande fraintendimento, la ricerca di una formazione come addestramento, quando solo un ricentraggio forte può produrre vera ed incisiva evoluzione, anche delle prestazioni.

Si assiste in ogni parte del globo ad una grande confusione sul fronte della domanda rispetto agli obiettivi di fondo ricercati. Ad esempio, il cliente pensa alla formazione sulla comunicazione con un desiderio latente di ricentraggio, ma ricerca offerte prettamente addestrative con un programma standardizzato. 

Le dissonanze della domanda sono numerosissime e costituiscono una delle principali cause di insuccesso o insoddisfazione sia per chi acquista che per chi vende formazione e consulenza.

Una problematica ulteriore riguarda l’intervento su singoli o su gruppi. Osserviamo il diagramma seguente:

Budget finanziario e budget mentale per il coaching

Sia per i privati cittadini, che per le aziende e anche nelle organizzazioni pubbliche, il denominatore comune è che rende possibile un evento formativo attivo o un coaching program è la presenza di un budget finanziario associato ad un budget mentale per un certo tipo di intervento. 

Proponiamo questa citazione da Trevisani (2001) per un approfondimento minimo sui budget mentali:

Nel campo delle vendite business-to-business, i budget aziendali di spesa ed investimento riflettono i budget mentali del management (titolari o altri decisori e influenzatori). 

Capire i budget mentali di un imprenditore o acquirente è assolutamente rilevante per il venditore di beni innovativi e servizi evoluti all’impresa. Non ci sarà da stupirsi di fronte ad un diniego, se nei budget mentali degli investimenti del titolare d’azienda o del buyer non vi è una percentuale di spesa destinata all’innovazione o alla sperimentazione, così come non si potrà impostare una trattativa altro che sul prezzo senza sapere sino a che punto un prodotto/servizio ricade nei budget mentali previsti dall’acquirente potenziale.

Ad esempio, nel campo della formazione, la domanda “Avete definito un budget annuale per la formazione?” è un buon punto di partenza per inquadrare i sistemi di budget setting dell’interlocutore nella vendita dei servizi formativi all’impresa. Se la risposta è sì, questo sarà un indicatore della presenza di un budget mentale aperto rispetto a tale voce di spesa. Se la risposta è no, si aprirà un altro percorso, diverso, di “vendita della categoria di prodotto”, nel quale lo scopo primario sarà sensibilizzare il soggetto verso la tipologia di soluzione, i suoi risultati (preventivi, anticipatori, omeostatici) ancor prima che verso la specifica offerta formativa.

Si assiste tuttavia anche a casi di formazione obbligatoria che viene creata da leggi specifiche. Alcuni casi classici sono legati alla formazione obbligatoria sulla sicurezza, o alla riqualificazione professionale obbligatoria dei medici o altre professioni.

Il budget finanziario rende possibile il finanziamento del progetto, il budget mentale rende possibile l’apertura verso la percezione del bisogno, la percezione di una urgenza e necessità di attivarsi.

Tra le attività essenziali da apprendere in un profilo registico, vi è la capacità di acuire la sensibilità del cliente verso l’esigenza di destinare budget per il progetto di cambiamento, per darvi spessore e continuità nel tempo.Si tratta veramente di una capacità specifica, denominabile vendita consulenziale pedagogica, perché deve riuscire da un lato a persuadere il cliente, ma dall’altro a svolgere un’azione etica nello stretto interesse del cliente stesso, per rimuovere le false credenze prevalenti sul fatto che interventi brevi e poco incisivi siano sufficienti a produrre risultati desiderati.

La triplice compnente della wishlist formativa4

Deep coaching. Scoprire gli universi Motivazionali: analisi psicologia dei bisogni di coaching e cambiamento

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano

Il progetto di cambiamento come incontro tra volontà.

Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso.

Fëdor Dostoevskij

Un progetto di coaching, di formazione attiva o cambiamento nelle risorse umane e nelle risorse personali, non è mai frutto della volontà di una singola persona. Come minimo, è necessario che un cliente percepisca uno stato di bisogno e si incontri con un soggetto (formatore o change agent, counselor o consulente, coach) dotato di desiderio o volontà di dedicarsi alla formazione.

La formazione nasce quindi come:

  • risultato di una domanda spontanea espressa dal cliente, il quale attiva una ricerca di formatori, società di consulenza, trainer interni, o altri erogatori possibili; e/o:
  • risultato di una proposizione commerciale di vendita o motivazionale attuata dal lato dell’offerta (domanda stimolata)attraverso iniziative di vendita, seminari, workshop, o altre forme di stimolazione della domanda.

Diffidenza e accettazione verso il coach.

Troviamo forti elementi di verità nell’asserzione storica di Reich, secondo cui:

contrariamente a quanto sostengono molti colleghi, devo continuare ad affermare che ogni paziente, senza eccezioni, inizia l’analisi con un atteggiamento più o meno diffidente o critico, che normalmente rimane nascosto.

Questo porta Reich a sostenere che sia opportuno 

Evitare interpretazioni più profonde dell’inconscio fino a quando esiste la barriera della cortesia convenzionale tra paziente e analista.[2]

Lo stesso tipo di precauzioni e considerazioni valgono per un approccio di coaching. La sensibilità del coach deve portarlo alla comprensione di quando il cliente stia o meno facendo emergere materiale “vero” anziché informazioni deviate dalla necessità di impressions management positivo.

Tipologie del bisogno di formazione: addestramento, formazione, ricentraggio.

Se osserviamo il fronte della domanda di cambiamento e formazione, coaching e consulenza in azienda o tra i privati, dobbiamo prima di tutto distinguere tre grandi “strati” di bisogno: 

(1) addestramento, 

(2) formazione,

(3) ricentraggio. 

Questa classificazione è sicuramente riduttiva rispetto alla realtà composta da una enorme varietà di sfumature, ma serve per chiarire alcuni punti di fondo:

Lo strato inferiore della piramide non mette in discussione alcun principio o credenza di fondo: il cambiamento ricercato è solo superficiale, il ruolo del formatore è prettamente addestrativo e psicomotorio, basato su istruzioni (come si fa per…).

Lo strato centrale (formazione classica) contiene spesso una ricerca latente di “addestramento”, ma comprende dosi (più o meno cospicue a seconda del trainer e del cliente) di azioni di riflessione e di cambiamento negli atteggiamenti, di ricerca di una nuova visione del proprio ruolo o del proprio futuro e del modo di fare. 

Raramente, tuttavia, la revisione del proprio ruolo o del modo di pensare è l’obiettivo centrale della formazione classica, e il focus è più sul cambiare il modo di agire e il risultato di breve periodo. Questo produce una vera e propria ansia da risultato, tale che se x euro vengono spesi in un corso, si cerca di capire se nel trimestre successivo questi x euro siano già rientrati. Questa logica di ricerca del ROI (Return on Investment) a breve termine nella formazione aziendale è deleteria perché confonde l’educazione manageriale con l’acquisto di una attrezzatura quale una stampante o una fotocopiatrice.

Nello strato superiore – il ricentraggio – abbiamo invece le attività di maggiore introspezione, di ricerca di un modo diverso di rapportarsi al lavoro, o alla vita, alla visione dei propri obiettivi. Comprende azioni di analisi e costruzione di un orizzonte nuovo, diverso, la messa in discussione del proprio operato, delle proprie credenze, degli stereotipi che si utilizzano. La Neotropia (ricerca di nuovi poli di attenzione) è il nucleo centrale e fondamentale di questo stadio, e può arrivare persino a toccare il senso profondo della vita, e come la missione personale o manageriale vi possano portare contributo.

Chi, nel cammino della vita ha acceso anche soltanto una fiaccola nell’ora buia di qualcuno, non è vissuto invano

Madre Teresa di Calcutta

La Regia di Cambiamento e la Regia Formativa devono tenere separati gli obiettivi delle tre fasi. Deve essere sempre chiaro al regista se è in corso una fase addestrativa, una fase formativa o una fase di ricentraggio.

Parlando di setting formativo o consulenziale, anche la sede fisica deve essere scelta in funzione del tipo di intervento, il più possibile in azienda per le azioni di addestramento puro, il più possibile lontano dall’azienda, lontano da rumori psicologici, interruzioni e problemi quotidiani per le azioni di ricentraggio, mentre per la formazione si possono prevedere mix di entrambi.

Una Regia consapevole deve essere sempre in contatto con l’obiettivo latente, e fare in modo che ogni elemento della regia sia orchestrato attorno all’obiettivo.

Tenendo a mente questa distinzione, esaminiamo alcune delle principali tipologie di domanda formativa:

I bisogni di formazione espressi dalle imprese sono ampiamente collegati ad un’esigenza di maggiore produttività o sviluppo organizzativo.

Come evidenziano Quaglino e Carrozzi:

 “L’attività di formazione è in larga misura promossa da organizzazioni (industrie, banche, enti pubblici) che vedono in essa uno strumento per migliorare la loro efficienza.

Da questa visione nasce un primo grande fraintendimento, la ricerca di una formazione come addestramento, quando solo un ricentraggio forte può produrre vera ed incisiva evoluzione, anche delle prestazioni.

Si assiste in ogni parte del globo ad una grande confusione sul fronte della domanda rispetto agli obiettivi di fondo ricercati. Ad esempio, il cliente pensa alla formazione sulla comunicazione con un desiderio latente di ricentraggio, ma ricerca offerte prettamente addestrative con un programma standardizzato. 

Le dissonanze della domanda sono numerosissime e costituiscono una delle principali cause di insuccesso o insoddisfazione sia per chi acquista che per chi vende formazione e consulenza.

Una problematica ulteriore riguarda l’intervento su singoli o su gruppi. Osserviamo il diagramma seguente:

Budget finanziario e budget mentale per il coaching

Sia per i privati cittadini, che per le aziende e anche nelle organizzazioni pubbliche, il denominatore comune è che rende possibile un evento formativo attivo o un coaching program è la presenza di un budget finanziario associato ad un budget mentale per un certo tipo di intervento. 

Proponiamo questa citazione da Trevisani (2001) per un approfondimento minimo sui budget mentali:

Nel campo delle vendite business-to-business, i budget aziendali di spesa ed investimento riflettono i budget mentali del management (titolari o altri decisori e influenzatori). 

Capire i budget mentali di un imprenditore o acquirente è assolutamente rilevante per il venditore di beni innovativi e servizi evoluti all’impresa. Non ci sarà da stupirsi di fronte ad un diniego, se nei budget mentali degli investimenti del titolare d’azienda o del buyer non vi è una percentuale di spesa destinata all’innovazione o alla sperimentazione, così come non si potrà impostare una trattativa altro che sul prezzo senza sapere sino a che punto un prodotto/servizio ricade nei budget mentali previsti dall’acquirente potenziale.

Ad esempio, nel campo della formazione, la domanda “Avete definito un budget annuale per la formazione?” è un buon punto di partenza per inquadrare i sistemi di budget setting dell’interlocutore nella vendita dei servizi formativi all’impresa. Se la risposta è sì, questo sarà un indicatore della presenza di un budget mentale aperto rispetto a tale voce di spesa. Se la risposta è no, si aprirà un altro percorso, diverso, di “vendita della categoria di prodotto”, nel quale lo scopo primario sarà sensibilizzare il soggetto verso la tipologia di soluzione, i suoi risultati (preventivi, anticipatori, omeostatici) ancor prima che verso la specifica offerta formativa.

Si assiste tuttavia anche a casi di formazione obbligatoria che viene creata da leggi specifiche. Alcuni casi classici sono legati alla formazione obbligatoria sulla sicurezza, o alla riqualificazione professionale obbligatoria dei medici o altre professioni.

Il budget finanziario rende possibile il finanziamento del progetto, il budget mentale rende possibile l’apertura verso la percezione del bisogno, la percezione di una urgenza e necessità di attivarsi.

Tra le attività essenziali da apprendere in un profilo registico, vi è la capacità di acuire la sensibilità del cliente verso l’esigenza di destinare budget per il progetto di cambiamento, per darvi spessore e continuità nel tempo.Si tratta veramente di una capacità specifica, denominabile vendita consulenziale pedagogica, perché deve riuscire da un lato a persuadere il cliente, ma dall’altro a svolgere un’azione etica nello stretto interesse del cliente stesso, per rimuovere le false credenze prevalenti sul fatto che interventi brevi e poco incisivi siano sufficienti a produrre risultati desiderati.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

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Altre risorse online:

Temi e Keywords dell’articolo:

Fattori per la programmazione del training

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Nella programmazione del training bioenergetico i fattori da considerare sono i seguenti:

  • stato organismico,
  • tools disponibili,
  • frequenza del training,
  • frazionamento,
  • durata,
  • intensità,
  • continuità.

Vediamo i seguenti punti in maggiore dettaglio.

Stato organismico, tools disponibili

 L’ana­lisi delle condizioni generali e momentanee dello stato organismico permette di evidenziare le priorità su cui intervenire.

L’analisi delle condizioni momentanee evidenzia i livelli di energia disponibili al momento del training, al fine di modularlo ed evitare sovraccarico o ipo-stimolazioni. Tools disponibili: La programmazione del training deve valutare gli strumenti disponibili, consistenti sia negli apparati fisici (attrezzi) che negli strumenti ambientali (set­ting, aule, sale, strutture, ambienti fisici quali mare, montagna, bosco, acque, attrezzi). In particolare per gli outdoor training, la disponibilità di aree naturali e strutture attrezzate deve essere attentamente progettata.

Frequenza del training

È necessario progettare la cadenza delle sessioni allenanti. La frequenza è determinata dall’intensità e dalle capacità di recupero. Sessioni molto intense richiedono frequenza allenante minore, maggiore dilatazione tra una sessione la successiva, per consentire tempi di recupero adeguati. Sessioni moderate possono richiedere invece tempi di recupero brevi e maggiore frequenza.

È da notare che per “training”, in campo organismico o bioenergetico, si intende un’attività fisica, mentre in termini di lifecoaching può essere training anche svolgere una attività non fisica ma mentale, o un training relazionale.

Frazionamento del training

Il frazionamento del training consiste nel dividere le sessioni in base a criteri, per far si che ogni sessione alleni specifiche aree o abilità, e l’intero organismo e le intere aree e abilità di interesse vengano ad essere allenate – area per area, abilità per abilità – con maggiore specificità e localizzazione.

È possibile allenare singoli distretti (esercizi di isolamento bioenergetico) o intere catene di distretti (esercizi a catena lunga). Il frazionamento consiste nella divisione del training in sessioni separate e dedicate a specifiche aree o distretti fisici, o a separate funzioni umane (es.: resistenza, forza, o in campo manageriale – decisione, ragionamento, logica, comunicazione, creatività).

In campo sportivo si possono creare frazionamenti in molti modi, ne esponiamo alcuni:

esercizi per la parte superiore vs. esercizi per la parte inferiore;

esercizi di trazione vs. esercizi di spinta;

esercizi lineari vs. esercizi angolari (tipo di movimento svolto);

esercizi a catena lunga (multi-articolari) vs. esercizi a catena singola (mo­no­-articolari);

esercizi singoli o a coppie;

esercizi di sollevamento vs. esercizi di percussione;

esercizi di forza vs. esercizi di abilità e coordinamento;

esercizi a prevalenza mentale vs. esercizi a prevalenza fisica;

esercizi sequenziali vs. esercizi in circuito (circuit training);

esercizi isometrici (tenere una posizione) vs. esercizi balistici (movimento);

… ogni altra forma di frazionamento efficace su base scientifica.

In campo manageriale possiamo frazionare il training organizzativo in molti modi, ad esempio:

esercitazioni a bassa difficoltà vs. esercizi ad alta difficoltà;

esercitazioni di ripasso o manutenzione vs. esercizi di nuova acquisizione;

esercitazioni creative vs. esercitazioni applicative;

esercitazioni individuali vs. esercitazioni di gruppo;

esercitazioni d’aula vs. esercizi outdoor;

esercitazioni in casi reali vs. simulazioni;

esercizi di apprendimento vs. esercizi di rimozione (unlearning)

training centrato sul sistema nervoso simpatico (attività di tipo agonistico, aggressivo, competitivo, ad alta tensione, under pressure) vs. training centrato sul sistema nervoso parasimpatico (attività di tipo rilassato, calmo, sereno, tranquillo, meditativo, low pressure).

La modalità di frazionamento e differenziazione tra attività che interessano il sistema nervoso simpatico (alta attivazione agonistica) vs. attività che interessano e stimolano prevalentemente il sistema nervoso parasimpatico (rilassamento e recupero), riguarda indistintamente il lavoro sul corpo così come la formazione relazionale e il coaching.

Nel metodo HPM viene utilizzata in particolare la “cartografia di Fisher”[1], una metodica poco nota, di frontiera, nata per mappare gli stati mentali, la percezione, sino agli stati alterati di coscienza (ASC – Altered States of Consciousness).

Si tratta di un’area di studi di alto interesse negli anni ‘60 e ‘70, oggi poco frequentata, ma assolutamente utile per localizzare i tipi di attivazione mentale. Questa scala è stata da noi ulteriormente rielaborata ed utilizzata su più fronti, per progettare training variati in termini di intensità e tipo di esperienza.

In generale, le tecniche di frazionamento servono per evitare la monotonia e la noia, ma anche la perdita di efficacia di una tecnica che derivano da una mancanza di varietà nel tipo di lavoro allenante svolto.

Permettono inoltre di creare tabelle allenanti e percorsi formativi basati su cicli allenanti, sequenze di input e stimoli, in cui le varie tipologie di esercizio o esercitazione vengono combinate nel tempo, dando luogo a maggiore varietà e maggiore efficacia.

Durata del training

La durata è un fattore soggettivo e non standardizzabile. Alcuni training manageriali hanno effetto operativo forte e significativo solo quando ci si dedica per una intera settimana ad un tema (es.: la negoziazione avanzata), così come si possono praticare micro-training di pochi minuti in un role-playing dedicato a preparare uno specifico incontro.

Anche sul piano fisico le durate sono variabili, da i ritiri di più settimane sino ai training di alta intensità e breve durata, in cui in un quarto d’ora l’organismo viene portato ad esaurimento (nello sport), o viene acquisita una micro-abilità molto localizzata.

Intensità del training e continuità

L’intensità riguarda il volume di lavoro nel tempo. Il fatto di racchiudere uno sforzo entro un tempo limitato, aumentando le necessità di attivazione dell’organismo, aumenta l’intensità. L’intensità può essere determinata dal tipo di esercizio, dalla riduzione dei tempi di recupero, dal grado di sovraccarico e di stress personale esperito durante il training.

La continuità richiede la progettazione di un ciclo di training in un arco temporale lungo. La continuità è uno dei fattori di maggiore successo nel training bioenergetico e manageriale, poiché gli effetti di condizionamento, supercompensazione, e incremento delle energie disponibili, sono cumulativi.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

Temi e Keywords dell’articolo:

  • modello
  • metodo HPM
  • visione
  • valori
  • potenziale umano
  • autorealizzazione
  • crescita personale
  • potenziale personale
  • crescita e sviluppo
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  • sogni
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  • intensità
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[1] Fisher, Roland (1971), A Cartography of the Ecstatic and Meditative States, in: Science 26 November 1971: Vol. 174. no. 4012, pp. 897 – 904.

Collegare un percorso formativo o di coaching a verifiche, anticipare tipo e natura delle verifiche.

Rimanendo in termini didattici, ho trovato personalmente molto utile consegnare, all’inizio di un corso, una prova d’esame finale sostenuta da studenti in corsi precedenti, una prova che ovviamente lo studente non è in grado in quel momento di sostenere. 

L’effetto è in genere un senso di impossibilità, un senso di incapacità. Questa pratica produce una forte emersione del tipo di distanza o gap che esiste tra competenza attuale e il momento in cui si sarà chiamati ad esprimere la competenza.

Le verifiche sono uno strumento importante nei percorsi formativi, se utilizziate ai fin della responsabilizzazione.

Note applicative: un modo eccellente per trasmettere la responsabilità allo studente è di articolare chiaramente e pubblicare la “mappa della struttura del corso” (CSM) in cui sono delineate le competenze target per il corso. Le competenze devono essere definite con precisione affinché funzioni. Ogni competenza deve indicare chi dimostrerà quale conoscenza, abilità o comportamento concreti a quale livello e in quali condizioni, quale sarà il processo di dimostrazione e quale, se ce ne sarà, sarà il prodotto. Nella definizione delle competenze, si dovrebbero evitare termini “confusi” e difficili da misurare (ad esempio, capire, apprezzare, conoscere). Questo è un esempio di una solida definizione di competenza:

Lo studente sarà in grado di disegnare un diagramma temporale e scrivere un breve articolo sul diagramma, descrivendo i principali fattori di interazione (politici, economici, sociali e religiosi) che hanno portato alla Seconda guerra mondiale, quindi proiettare come queste circostanze potrebbero ripetersi il futuro. Lo studente dimostrerà la propria competenza offrendo una presentazione di 15 minuti e condurrà una sessione di domande e risposte con gli altri studenti.[1].

L’esempio riguarda un corso di storia e analisi politica, nel quale viene chiaramente esplicitato che lo studente dovrà, al termine del corso, fare un’ analisi delle forze politiche, religiose, sociali, economiche che hanno condotto alla 2° Guerra Mondiale, l’analisi dovrà essere esposta graficamente in un diagramma dei tempi (timeline), dovrà essere scritto un paper, ma soprattutto vi sarà una presentazione in pubblico (public speaking) di 15 minuti (non di 1 o 2 minuti), seguita da una sessione di domande e risposte con la platea dei propri studenti/colleghi di corso.

Si tratta certamente di una complessa prova che mette in gioco l’intero individuo, come depositario di conoscenza, analista e pensatore, e in seguito presentatore, comunicatore e conduttore di dibattiti.

Il problema evidenziato, ancora una volta, è quello di portare lo studente a prendersi una responsabilità nel percorso di apprendimento, a volere fortemente essere in grado di superare questo tipo di prova. Il risultato addizionale è soprattutto rendersi consapevoli del gap che separa le competenze di oggi e quelle che sono necessarie per superare la prova con successo. 

Non è un caso che la prova contenga una presentazione in pubblico, che mette sicuramente in gioco la propria faccia, la propria credibilità, e non solo un quiz scritto, in un certo senso sfidando l’onere del partecipante di non fare brutta figura, e mettendone in moto i meccanismi dell’orgoglio, ma anche quelli dell’ansia da prestazione.

Come evidenziano gli autori, è importante rendere consapevoli gli studenti dei gaps di competenze (lacune) che possiedono, creare responsabilità personale e volontà di intraprendere il viaggio di apprendimento:

Come può uno studente assumersi la responsabilità e imparare con intento se ignora le competenze che gli mancano? Quando un istruttore sale sul podio e inizia a tenere una lezione, lo studente non sa quali competenze quell’istruttore intende promuovere in lui/lei. Il design didattico implicito in questo caso è “Ascoltami”. Tenere una lezione meglio o insegnare “più duramente” in questa circostanza non si traduce in un apprendimento migliore. 

Un buon design didattico rende esplicite le competenze che uno studente deve acquisire. Un apprendimento incentrato sullo studente può verificarsi quando uno studente può assumersi la responsabilità di rimuovere un’incompetenza nota dicendo “Voglio imparare questo”. Quando il progetto del corso si riduce a “Ascoltami”, lo studente non può accelerare i suoi processi di apprendimento … ogni studente deve assumersi la piena responsabilità del proprio percorso di apprendimento.[2].

Anticipazione dei tipi di verifiche e test di realtà da affrontare

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

  • conoscenza del tipo di verifiche a cui si andrà incontro e del grado di preparazione di cui appropriarsi;
  • conoscenza dei “test di realtà” che la vita vera ci metterà di fronte, al fine di stimolare la volontà di un apprendimento profondo.

Il cambiamento viene bloccato o ostacolato da:

  • credenza o convinzione che non vi siano verifiche o mancata conoscenza del tipo di verifiche cui prepararsi;
  • credenza o convinzione che la vita vera non metterà mai alla prova quanto si va apprendendo e l’impegno nel formarsi sia inutile. 

Ogni apprendimento che si rispetti, basato sui metodi del Deep Coaching, è intriso di errori, fallimenti, cadute, goffaggini, ma non importa, l’importante è che dagli errori si apprenda intenzionalmente e che questi vengano esaminati a fondo con l’aiuto di un coach, di un Maestro o di un formatore.

Chi non ha mai commesso un errore, non ha mai provato nulla di nuovo.

Albert Einstein

Utilizzo della Staircase come modello per profilare il cliente, visualizzare i progressi e dare evidenza ai risultati

Se utilizziamo la Staircase come “termometro” di competenze, possiamo chiederci quali sono i 4 o 5 target di apprendimento primari, le competenze chiave su cui fare leva in un coaching o in un training, e visualizzare graficamente gli andamenti del progetto.

Il modello da noi realizzato simula un piano di coaching per il direttore di una delle aree critiche di un’impresa, un direttore da formare già individuato come possibile candidato High-Potential. Le 5 aree di competenza individuate rispondono alle valutazioni di quali siano i fattori critici per quel profilo. La linea tratteggiata evidenzia lo stato pre-coaching, la linea retta lo stato post-coaching.

Profilazione di dettaglio

In alternativa alla profilazione delle variabili fondamentali (4 o 5), possiamo stilare un elenco molto più dettagliato di saperi, saper essere e saper fare che qualificano un professionista da selezionare o sul quale fare coaching.

In questa profilazione possiamo notare il tracciato del candidato ideale o professionista ideale per il ruolo (cerchio) e il profilo rilevato (quadrato tra parentesi) in seguito ad un colloquio di valutazione in profondità.

Come arrivare alla profilazione

Per poter arrivare alla stesura di un profilo, immaginiamo di un venditore, è necessario compiere prima di tutto una raccolta delle caratteristiche, per poi organizzarla in aree, ed inserirla in una tabella.

Per raccogliere le caratteristiche è possibile ricorrere a diversi metodi:

  • ricerca sulla letteratura inerente la valutazione, le Human Resources, la psicologia sociale (soprattutto gli items inseriti all’interno dei differenziali semantici con i quali viene misurata l’immagine ricerche di psicologia sociale);
  • ricorso all’esperienza tramite colloquio a due, nel quale uno dei due soggetti funge da “serbatoio di esperienza” ed espone le caratteristiche positive e negative dei venditori da lui incontrati o gestiti, ed uno svolge da consulente, da “orecchio” attento a listare le variabili valutative che il primo usa mentre di fatto li valuta e li commenta.

Ecco un esempio di variabili valutative emerse in un incontro basato sul ricorso all’esperienza, in un tentativo di profilazione di area managers e venditori di ufficio export. 

Come si potrà notare, le caratteristiche sono listate senza un ordine logico, le formule verbali sono a volte imprecise e variabili, come emergono “durante la conversazione”. Sarà compito successivo del manager sistemarle, formularle in modo comprensibile, ordinarle e creare una rating scale (tabella valutativa).

Elenco delle variabili di valutazione personale emerse dal colloquio di valutazione dei singoli venditori area-manager
  1. creatività
  2. capacità interculturale, sapersi comportare diversamente a seconda del paese nel quale ti trovi
  3. capacità negoziali
  4. capacità di analisi
  5. saper fare un piano di sviluppo paese
  6. analisi socioeconomica del sistema-paese, saper leggere i dati statistici e le tendenze sociali del paese
  7. analisi struttura distributiva, sa capire come funziona la distribuzione in quel mercato
  8. analisi qualitativa del mercato (gusti, tendenze, mode) se realizzare un piano pubblicitario e promozionale per il lancio di unprodotto
  9. sa costruire partnership, piani di co-marketing
  10. capacità di PR
  11. autonomia logistica-organizzativa (viaggi, trasferte)
  12. predispone campagne di comunicazione
  13. capacità di negoziare con i fornitori locali 
  14. conosce le tecniche costruttive del prodotto (fonts, pantoni, grafica editoriale)
  15. sa creare concept di vendita (es: nuovi packaging) 
  16. sa trovare chi realizza i concept (fornitori locali)
  17. sa trovare i fornitori locali per promozioni 
  18. sa condurre una riunione (meeting management)
  19. prioritization skills: sa fissare le priorità
  20. time management: sa gestire i tempi
  21. assertività interna in azienda: sa esprimere le proprie posizioni, esigenze e richieste verso le altre aree e la direzione
  22. source awareness: sa dove trovare le informazioni, conosce le fonti informative
  23. ha capacità di ricerca autonoma di informazioni in internet
  24. sa fare un’analisi del potenziale di vendita del paese
  25. sa fare un budget di vendita e strutturarlo (per linee di prodotto e tempi)
  26. collaboratività interna: non è geloso delle proprie informazioni verso la direzione, no egoismo, furbizia, tenersi dati e potere
  27. sa gestire filiali estere
  28. sa finalizzare e chiudere le posizioni 
  29. sa organizzare fiere all’estero e gestire la partecipazione aziendale
  30. sa gestire i conflitti interni assertivamente (no ricorso all’aggressività immotivata, no passività)
  31. sa fare planning con diagrammi Gantt
  32. saperi finanziari e di controllo di gestione, vocabolario finanziario
  33. sa i principi di matematica finanziaria
  34. ha affidabilità personale, si può contare sulla sua parola
  35. non è un confusionario
  36. ha capacità relazionale
  37. impegno, dedizione, committment verso l’azienda e il risultato
  38. riesce a tenere una visione d’insieme sul mercato e sui progetti
  39. comunica apertamente all’interno (no furbizie/astuzie strategiche, giochi tattici interni)
  40. è smart, sveglia/o
  41. buona capacità di utilizzo di software statistico-matematico (Excel)
  42. sa realizzare presentazioni in PowerPoint
  43. sa costruire un report professionale in word
  44. sa realizzare mailing e e-mailing
  45. buona autoefficacia e capacità di automotivazione
  46. sa promuovere il branding dell’azienda
  47. sa muoversi internamente (sa riportare al livello decisionale giusto)
  48. rispetta i confini del suo ruolo
  49. sa fare gruppo e squadra
  50. ha un buon lifestyle e buona energia
  51. non si tira indietro, non fa solo il minimo indispensabile
  52. è serio/a
  53. sa far crescere i junior, può essere un buon tutor
  54. ha grinta/non ha grinta
  55. è umorale (negativo)
  56. è arrogante e/o presuntuoso (negativo)
  57. è scontroso, difficile (negativo)
  58. introverso/estroverso
  59. disponibile a viaggiare in luoghi/nazioni pericolosi
  60. è un incursore vs. sta nelle retrovie

Non sottovalutare mai il problema, né la tua capacità di affrontarlo.

Robert H. Schuller
Collegare un percorso formativo o di coaching a verifiche, anticipare tipo e natura delle verifiche

Collegare un percorso formativo o di coaching a verifiche, anticipare tipo e natura delle verifiche

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano.

Rimanendo in termini didattici, ho trovato personalmente molto utile consegnare, all’inizio di un corso, una prova d’esame finale sostenuta da studenti in corsi precedenti, una prova che ovviamente lo studente non è in grado in quel momento di sostenere. 

L’effetto è in genere un senso di impossibilità, un senso di incapacità. Questa pratica produce una forte emersione del tipo di distanza o gap che esiste tra competenza attuale e il momento in cui si sarà chiamati ad esprimere la competenza.

Le verifiche sono uno strumento importante nei percorsi formativi, se utilizziate ai fin della responsabilizzazione.

Note applicative: un modo eccellente per trasmettere la responsabilità allo studente è di articolare chiaramente e pubblicare la “mappa della struttura del corso” (CSM) in cui sono delineate le competenze target per il corso. Le competenze devono essere definite con precisione affinché funzioni. Ogni competenza deve indicare chi dimostrerà quale conoscenza, abilità o comportamento concreti a quale livello e in quali condizioni, quale sarà il processo di dimostrazione e quale, se ce ne sarà, sarà il prodotto. Nella definizione delle competenze, si dovrebbero evitare termini “confusi” e difficili da misurare (ad esempio, capire, apprezzare, conoscere). Questo è un esempio di una solida definizione di competenza:

Lo studente sarà in grado di disegnare un diagramma temporale e scrivere un breve articolo sul diagramma, descrivendo i principali fattori di interazione (politici, economici, sociali e religiosi) che hanno portato alla Seconda guerra mondiale, quindi proiettare come queste circostanze potrebbero ripetersi il futuro. Lo studente dimostrerà la propria competenza offrendo una presentazione di 15 minuti e condurrà una sessione di domande e risposte con gli altri studenti.[1].

L’esempio riguarda un corso di storia e analisi politica, nel quale viene chiaramente esplicitato che lo studente dovrà, al termine del corso, fare un’ analisi delle forze politiche, religiose, sociali, economiche che hanno condotto alla 2° Guerra Mondiale, l’analisi dovrà essere esposta graficamente in un diagramma dei tempi (timeline), dovrà essere scritto un paper, ma soprattutto vi sarà una presentazione in pubblico (public speaking) di 15 minuti (non di 1 o 2 minuti), seguita da una sessione di domande e risposte con la platea dei propri studenti/colleghi di corso.

Si tratta certamente di una complessa prova che mette in gioco l’intero individuo, come depositario di conoscenza, analista e pensatore, e in seguito presentatore, comunicatore e conduttore di dibattiti.

Il problema evidenziato, ancora una volta, è quello di portare lo studente a prendersi una responsabilità nel percorso di apprendimento, a volere fortemente essere in grado di superare questo tipo di prova. Il risultato addizionale è soprattutto rendersi consapevoli del gap che separa le competenze di oggi e quelle che sono necessarie per superare la prova con successo. 

Non è un caso che la prova contenga una presentazione in pubblico, che mette sicuramente in gioco la propria faccia, la propria credibilità, e non solo un quiz scritto, in un certo senso sfidando l’onere del partecipante di non fare brutta figura, e mettendone in moto i meccanismi dell’orgoglio, ma anche quelli dell’ansia da prestazione.

Come evidenziano gli autori, è importante rendere consapevoli gli studenti dei gaps di competenze (lacune) che possiedono, creare responsabilità personale e volontà di intraprendere il viaggio di apprendimento:

Come può uno studente assumersi la responsabilità e imparare con intento se ignora le competenze che gli mancano? Quando un istruttore sale sul podio e inizia a tenere una lezione, lo studente non sa quali competenze quell’istruttore intende promuovere in lui/lei. Il design didattico implicito in questo caso è “Ascoltami”. Tenere una lezione meglio o insegnare “più duramente” in questa circostanza non si traduce in un apprendimento migliore. 

Un buon design didattico rende esplicite le competenze che uno studente deve acquisire. Un apprendimento incentrato sullo studente può verificarsi quando uno studente può assumersi la responsabilità di rimuovere un’incompetenza nota dicendo “Voglio imparare questo”. Quando il progetto del corso si riduce a “Ascoltami”, lo studente non può accelerare i suoi processi di apprendimento … ogni studente deve assumersi la piena responsabilità del proprio percorso di apprendimento.[2].

Anticipazione dei tipi di verifiche e test di realtà da affrontare

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

  • conoscenza del tipo di verifiche a cui si andrà incontro e del grado di preparazione di cui appropriarsi;
  • conoscenza dei “test di realtà” che la vita vera ci metterà di fronte, al fine di stimolare la volontà di un apprendimento profondo.

Il cambiamento viene bloccato o ostacolato da:

  • credenza o convinzione che non vi siano verifiche o mancata conoscenza del tipo di verifiche cui prepararsi;
  • credenza o convinzione che la vita vera non metterà mai alla prova quanto si va apprendendo e l’impegno nel formarsi sia inutile. 

Ogni apprendimento che si rispetti, basato sui metodi del Deep Coaching, è intriso di errori, fallimenti, cadute, goffaggini, ma non importa, l’importante è che dagli errori si apprenda intenzionalmente e che questi vengano esaminati a fondo con l’aiuto di un coach, di un Maestro o di un formatore.

Chi non ha mai commesso un errore, non ha mai provato nulla di nuovo.

Albert Einstein

Utilizzo della Staircase come modello per profilare il cliente, visualizzare i progressi e dare evidenza ai risultati

Se utilizziamo la Staircase come “termometro” di competenze, possiamo chiederci quali sono i 4 o 5 target di apprendimento primari, le competenze chiave su cui fare leva in un coaching o in un training, e visualizzare graficamente gli andamenti del progetto.

Il modello da noi realizzato simula un piano di coaching per il direttore di una delle aree critiche di un’impresa, un direttore da formare già individuato come possibile candidato High-Potential. Le 5 aree di competenza individuate rispondono alle valutazioni di quali siano i fattori critici per quel profilo. La linea tratteggiata evidenzia lo stato pre-coaching, la linea retta lo stato post-coaching.

Profilazione di dettaglio

In alternativa alla profilazione delle variabili fondamentali (4 o 5), possiamo stilare un elenco molto più dettagliato di saperi, saper essere e saper fare che qualificano un professionista da selezionare o sul quale fare coaching.

In questa profilazione possiamo notare il tracciato del candidato ideale o professionista ideale per il ruolo (cerchio) e il profilo rilevato (quadrato tra parentesi) in seguito ad un colloquio di valutazione in profondità.

Come arrivare alla profilazione

Per poter arrivare alla stesura di un profilo, immaginiamo di un venditore, è necessario compiere prima di tutto una raccolta delle caratteristiche, per poi organizzarla in aree, ed inserirla in una tabella.

Per raccogliere le caratteristiche è possibile ricorrere a diversi metodi:

  • ricerca sulla letteratura inerente la valutazione, le Human Resources, la psicologia sociale (soprattutto gli items inseriti all’interno dei differenziali semantici con i quali viene misurata l’immagine ricerche di psicologia sociale);
  • ricorso all’esperienza tramite colloquio a due, nel quale uno dei due soggetti funge da “serbatoio di esperienza” ed espone le caratteristiche positive e negative dei venditori da lui incontrati o gestiti, ed uno svolge da consulente, da “orecchio” attento a listare le variabili valutative che il primo usa mentre di fatto li valuta e li commenta.

Ecco un esempio di variabili valutative emerse in un incontro basato sul ricorso all’esperienza, in un tentativo di profilazione di area managers e venditori di ufficio export. 

Come si potrà notare, le caratteristiche sono listate senza un ordine logico, le formule verbali sono a volte imprecise e variabili, come emergono “durante la conversazione”. Sarà compito successivo del manager sistemarle, formularle in modo comprensibile, ordinarle e creare una rating scale (tabella valutativa).

Elenco delle variabili di valutazione personale emerse dal colloquio di valutazione dei singoli venditori area-manager
  1. creatività
  2. capacità interculturale, sapersi comportare diversamente a seconda del paese nel quale ti trovi
  3. capacità negoziali
  4. capacità di analisi
  5. saper fare un piano di sviluppo paese
  6. analisi socioeconomica del sistema-paese, saper leggere i dati statistici e le tendenze sociali del paese
  7. analisi struttura distributiva, sa capire come funziona la distribuzione in quel mercato
  8. analisi qualitativa del mercato (gusti, tendenze, mode) se realizzare un piano pubblicitario e promozionale per il lancio di unprodotto
  9. sa costruire partnership, piani di co-marketing
  10. capacità di PR
  11. autonomia logistica-organizzativa (viaggi, trasferte)
  12. predispone campagne di comunicazione
  13. capacità di negoziare con i fornitori locali 
  14. conosce le tecniche costruttive del prodotto (fonts, pantoni, grafica editoriale)
  15. sa creare concept di vendita (es: nuovi packaging) 
  16. sa trovare chi realizza i concept (fornitori locali)
  17. sa trovare i fornitori locali per promozioni 
  18. sa condurre una riunione (meeting management)
  19. prioritization skills: sa fissare le priorità
  20. time management: sa gestire i tempi
  21. assertività interna in azienda: sa esprimere le proprie posizioni, esigenze e richieste verso le altre aree e la direzione
  22. source awareness: sa dove trovare le informazioni, conosce le fonti informative
  23. ha capacità di ricerca autonoma di informazioni in internet
  24. sa fare un’analisi del potenziale di vendita del paese
  25. sa fare un budget di vendita e strutturarlo (per linee di prodotto e tempi)
  26. collaboratività interna: non è geloso delle proprie informazioni verso la direzione, no egoismo, furbizia, tenersi dati e potere
  27. sa gestire filiali estere
  28. sa finalizzare e chiudere le posizioni 
  29. sa organizzare fiere all’estero e gestire la partecipazione aziendale
  30. sa gestire i conflitti interni assertivamente (no ricorso all’aggressività immotivata, no passività)
  31. sa fare planning con diagrammi Gantt
  32. saperi finanziari e di controllo di gestione, vocabolario finanziario
  33. sa i principi di matematica finanziaria
  34. ha affidabilità personale, si può contare sulla sua parola
  35. non è un confusionario
  36. ha capacità relazionale
  37. impegno, dedizione, committment verso l’azienda e il risultato
  38. riesce a tenere una visione d’insieme sul mercato e sui progetti
  39. comunica apertamente all’interno (no furbizie/astuzie strategiche, giochi tattici interni)
  40. è smart, sveglia/o
  41. buona capacità di utilizzo di software statistico-matematico (Excel)
  42. sa realizzare presentazioni in PowerPoint
  43. sa costruire un report professionale in word
  44. sa realizzare mailing e e-mailing
  45. buona autoefficacia e capacità di automotivazione
  46. sa promuovere il branding dell’azienda
  47. sa muoversi internamente (sa riportare al livello decisionale giusto)
  48. rispetta i confini del suo ruolo
  49. sa fare gruppo e squadra
  50. ha un buon lifestyle e buona energia
  51. non si tira indietro, non fa solo il minimo indispensabile
  52. è serio/a
  53. sa far crescere i junior, può essere un buon tutor
  54. ha grinta/non ha grinta
  55. è umorale (negativo)
  56. è arrogante e/o presuntuoso (negativo)
  57. è scontroso, difficile (negativo)
  58. introverso/estroverso
  59. disponibile a viaggiare in luoghi/nazioni pericolosi
  60. è un incursore vs. sta nelle retrovie

Non sottovalutare mai il problema, né la tua capacità di affrontarlo.

Robert H. Schuller

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

Temi e Keywords dell’articolo:

  • Cambiamento
  • Checklist
  • Coaching
  • Competenze
  • Conoscenza
  • Design Didattico
  • High Potential
  • Management
  • Percorso Formativo
  • Profilazione
  • Rating scale
  • Ricerca sulla letteratura
  • Ricorso all’esperienza
  • Staircase
  • Target
  • Test di realtà
  • Training
  • Variabili fondamentali
  • Verifiche

Percezione dello sforzo, rapporto con il dolore, salto di paradigma: differenziare il dolore distruttivo e il dolore da crescita

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Quando lo sforzo e la fatica sono positivi per raggiungere un fine

La preparazione e il training necessari per ottenere crescita sono spesso accompagnati da sforzo fisico e fatica mentale.

Questo tipo di sforzo può arrivare anche a superare la soglia del dolore.

Nella concezione classica,  il rapporto fisiologico dell’uomo con il dolore è di evitazione, salvo i casi patologici di masochismo.

Chi affronta il dolore e la fatica volontariamente rientra nella sfera degli eroi, o dei martiri, o dei coraggiosi e impavidi.

Per il performer è utile differenziare il tipo di dolore utile dall’inutile, localizzare il dolore distruttivo da quello associato alla crescita.

Il dolore distruttivo è quello che danneggia ma non crea, il dolore gratuito, o un trauma, come lo strappo di un muscolo.

Il dolore costruttivo è quello che funziona da rito di passaggio, una sofferenza che accompagna una crescita, un dolore senza il quale non è raggiungibile un livello successivo.

Sono sofferenze coscienti, ad esempio, i ricordi dolorosi necessari per la rielaborazione difficile di un brano del proprio passato con il quale non erano stati fatti i conti, o sul piano fisico un dolore associato ad uno sforzo muscolare intenso ma praticato coscientemente, vissuto in fase di allenamento e di performance.

Osserviamo la seguente testimonianza sulle tecniche di intensità utilizzate dal pluricampione di bodybuilding Arnold Schwarzenegger:

… utilizzavo anche altre tecniche, per sfruttare ogni briciola di intensità e stimolare la crescita. A parte le ripetizioni forzate, eseguite con l’aiuto di un compagno, le mie tecniche preferite erano la contrazione di picco e quella che io definivo “azione di pompaggio”. La prima consiste semplicemente nel mantenere la posizione superiore di ogni ripetizione … per 3 -4 secondi prima di scendere. Si tratta di una tecnica molto dolorosa, ma io ho sempre goduto di quel bruciore, sapendo che mi avrebbe fatto crescere[1].

La carriera del campione del mondo di bodybuilding Schwarzenegger, la sua capacità di avere successo anche in campi diversi, persino in politica come Governatore della California, parte da uno scantinato del piccolo borgo in cui nasce, in Austria, antro nel quale egli si allenava anche d’inverno senza riscaldamento. Saper andare avanti anche nella fatica e senza molti comfort ha permesso di forgiare doti di resistenza e spessore morale elevati. Anche la sua carriera nell’industria cinematografica è da lui stesso attribuita alla capacità acquisita nello sport di lavorare intensamente e impegnarsi a fondo.

Alcuni momenti di sofferenza accompagnano il raggiungimento di un goal, mentre il dolore gratuito ed inutile come quello che si può soffrire da un dentista non è positivo, così come non lo è lo stress distruttivo, il continuo “stare nella fatica” senza tregue. Ma nemmeno fuggirla sempre è utile.

Molti atleti di picco citano il “piacere del dare tutto”, dal fare fatica, e lo associano al concetto di “svuotarsi” fisicamente e mentalmente in modo positivo, avviando una sorta di “pulizia” dalle scorie mentali e fisiche, resa possibile dalla totale concentrazione e dall’intensità. Uno svuotamento che lascia spazio ad uno stato di benessere successivo, riposo e recupero indispensabili, senza i quali la fatica precedente diventa solo dannosa.

Tutti sappiamo che la preparazione in qualsiasi campo richiede impegno e questo può anche diventare fatica, sforzo. La soglia tra utilizzo positivo del dolore e patologia sta proprio nel grado di consapevolezza: sapere di lavorare in condizione di dolore entro un range di dolore ragionato, con un criterio di crescita e con un programma positivo di sviluppo.

I migliori atleti utilizzano un trucco mentale: la trasformazione del dolore da troppo negativo a compagno di viaggio in un percorso di crescita. In alcuni ambiti, la sua assenza diventa utile anche per segnalare la mancanza di un impegno allenante sufficiente e consistente.


[1] Schwarzenegger, A. (2007), I primi 60 anni, Muscle and Fitness.

Osserviamo questa testimonianza su Dean Karnazes, specialista in ultramaratone. Ad oltre 40 anni ha stabilito record quali la corsa ininterrotta per 80 ore percorrendo 563 km, e la sfida di resistenza denominata North Face Endurance, consistente nel correre una maratona al giorno per 50 giorni, qualcosa di disumano anche per corridori professionisti.

(Intervistatore): Che rapporto ha col dolore fisico?

(Karnazes): Ho imparato ad accettarlo. In genere nessuno cerca il dolore, tutti vogliono la felicità, la comodità. Nella cultura occidentale il dolore viene spesso associato a qualcosa di negativo. Nell’ultramaratona il dolore ti accompagna sempre, è una sfida da superare, ma che ti fa sentire vivo[1].

[1] Aiello, E. (2007), Dean Karnazes, Sport Week, la Gazzetta dello Sport, 1 /09/2007, p. 28

Osserviamo anche in questo passaggio una trasformazione completa della percezione, una Gestalt Switch (salto di paradigma): dal dolore come punizione al dolore associato ad un momento di crescita, come risorsa.

Karnazes cita tra i propri fattori di motivazione la scomparsa della sorella Pary, deceduta a 18 anni, e gli insegnamenti del padre “che mi ha insegnato a vedere lo sport come un modo per dare il meglio di me stesso”, o messaggi formativi di imprinting ricevuti da preparatori, come il coach Cummings “il coach di cross all’epoca delle scuole superiori mi ha inculcato una regola: non correre con le gambe, corri con il cuore”.

In generale, i motori psicologici che producono impegno morale sono diversi, dalla sfida con se stessi alla ricerca interiore, possono includere potenti messaggi genitoriali, sino al riscatto psicologico o la promessa d’onore.

In ogni caso, numerose persone sono sottoposte a stimolazioni psicologiche forti ma non tutte (anzi pochissime) compiono le elaborazioni mentali interiori che li portano a utilizzare correttamente questi stimoli. L’individuo e le sue scelte, la sua volontà, al di la dell’ambiente e degli stimoli, giocano un ruolo cruciale.

Il messaggio che vogliamo lanciare qui è complesso:

non è bene accettare la fatica come condizione esistenziale permanente, è  distruttivo, soffrire per soffrire non è il fine dell’umanità;

è bene accettare anche con gioia momenti o periodi di sforzo, anche inten­so, e fatica correlata, per raggiungere un certo fine;

la fatica va realizzata con grande consapevolezza delle proprie risorse (self-monitoring), con tempi e modalità di recupero adeguati. Solo con que­ste attenzioni si potrà utilizzare  la fatica come alleata, senza che essa distrugga chi la affronta spesso e a dosi elevate senza recupero.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

Temi e Keywords dell’articolo:

  • modello
  • metodo HPM
  • visione
  • valori
  • potenziale umano
  • autorealizzazione
  • crescita personale
  • potenziale personale
  • crescita e sviluppo
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  • desideri
  • orientamento
  • viaggio interiore
  • scoperta di sè
  • introspezione
  • smart goals
  • percezione dello sforzo
  • dolore
  • dolore distruttivo
  • dolore di crescita
  • preparazione
  • training
  • soglia del dolore
  • rito di passaggio
  • resistenza
  • spessore morale
  • rilascio energetico
  • imprinting
  • self-monitorig
  • fatica
  • Potenziale Umano Veneto
  • Mental Coach
  • Formazione aziendale
  • formazione assistenti sociali
  • formazione educatori
  • supervisione

Come realizzare Action Lines di successo

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il Valore Totale Percepito

Uno dei passaggi più critici nella preparazione negoziale è comprendere come si forma il possibile valore totale percepito (VTP), sommatoria di vari segmenti di valore (SV).

Il valore percepito, nel metodo ALM, viene considerato come una sommatoria di credenze positive, che si addizionano nella mente dell’acquirente mentre valuta le proposte o condizioni. 

Le caratteristiche distintive dell’offerta sono una combinazione di segmenti di valore che formano il valore complessivo. Ad esempio, un’impresa chimica che negozia una gomma speciale fonoassorbente con un produttore di auto, può creare valore percepito adducendo:

  • il valore dell’unicità: essere i primi a disporre di tale tecnologia;
  • il valore della rapidità: essere tra i pochi a poter consegnare il prodotto in tempo per il lancio dei nuovi modelli di auto sui quali si potrebbe applicare;
  • il valore della ricerca e sviluppo: poter realizzare varianti su richiesta della ditta costruttrice, a seconda delle aree di utilizzo (assorbimento del rumore degli interni, del motore, etc.);
  • il valore dell’affidabilità: dare garanzie di poter consegnare i volumi previsti poiché si è produttori diretti e non semplici distributori del prodotto;
  • … altri valori identificabili da una analisi accurata.

La sommatoria di tali valori potenziali o segmenti di valore (SV) crea il valore percepibile totale. Il valore “percepibile” non verrà però colto nella realtà, se non si crea una comunicazione adeguata. 

Soprattutto, ciascuna caratteristica dell’offerta diventa valore solo ed unicamente se la diagnosi è adeguata. In caso contrario, l’informazione che non tocca la mappa mentale del cliente passa da valore a rumore (noise).

Principio 6 – Valore Totale Percepito (VPT) come sommatoria di Segmenti di Valore (SV)

Il successo della negoziazione dipende:

  • dal valore totale percepito nella controparte rispetto alla nostra identità e alle nostre possibilità di intervento;
  • dalla capacità di costruire, far emergere ed essere consapevoli dei Segmenti di Valore (SV) che compongono la propria offerta;
  • dalla capacità di trasferire i SV all’interlocutore durante la comunicazione;
  • dalla capacità di creare fitting (adattamento, centratura) tra i segmenti di valore offerti e i bisogni della controparte che emergono dalla diagnosi.

Il negoziatore dovrà quindi essere estremamente attento a testare il grado di fitting tra i Segmenti di Valore proposti (ciò che propone) e ciò che nella mente del cliente è realmente importante, centrando le Key Variables (variabili valutative critiche).

Ogni acquirente utilizza variabili critiche (Key Variables) che influenzano il processo decisionale:

il prodotto osservato viene comparato con un’immagine mentale del prodotto ideale, e con altri possibili prodotti. L’azienda consapevole dei processi mentali del cliente sa investire nelle variabili più “pesanti”, quelle che producono effetti e non dà priorità a variabili che il consumatore non utilizza o utilizza poco nelle proprie scelte.

Lo sviluppo di una linea d’azione di successo

Alcuni dei macro-errori della negoziazione:

  • mancata conoscenza dei valori condivisi e analisi delle divergenze valoriali: impostare un rapporto senza una adeguata e reciproca conoscenza delle rispettive missioni e valori condivisi;
  • tenere attivi dei fraintendimenti e non affrontarli subito: non è possibile fare affari solamente con soggetti o aziende delle quali si condividono tutti i valori e la missione. Capita spesso, anzi, di trattare con persone o imprese che non dispongono di una precisa visione. Tuttavia ciò va considerato in quanto fonte di possibili fraintendimenti rispetto agli obiettivi finali del progetto e alle modalità di svolgimento, i quali – senza un esame rapido, possono dare luogo ad aspettative contrastanti e divergenti;
  • dare per scontati i modelli mentali del cliente: pensare che “sicuramente il suo ragionamento è…”, senza testarlo nella realtà;
  • mancata pianificazione di percorsi alternativi: lanciarsi in una Action Line senza avere esplorato le alternative;
  • mancata definizione dei possibili ostacoli di percorso e trappole (Traps);
  • mancata preparazione e test della negoziazione (training sulle Action Lines attuato tramite giochi di ruolo, Role Playing);

Per realizzare una Action Line di successo è necessario:

  • essere consapevoli della propria missione, del proprio valore, della propria distintività;
  • essere consapevoli e comunicare tutti i singoli segmenti di valore che formano il Valore Totale Percepito;
  • definire il punto di partenza e l’obiettivo da raggiungere o punto di arrivo (goal setting negoziale), ciò che vorremmo, i nostri punti di arrivo, chiarire ciò che ci renderebbe orgogliosi come risultato raggiunto;
  • definire diversi percorsi alternativi per raggiungere l’obiettivo o goal (con un minimo suggerito di tre alternative);
  • valutare i pro e contro delle alternative;
  • sperimentare il percorso scelto alla ricerca di Traps e possibili Breakdown;
  • scegliere la linea che massimizza il risultato ricercato (valutando sia il costo economico che organizzativo).

La linea di azione comunicativa

La linea di azione comunicativa si compone di una serie di “mosse relazionali” che ci avvicinano alla meta, verso l’effetto ricercato. 

Ogni comportamento è un messaggio. È messaggio un ritardo nel rispondere o la prontezza nel rispondere, è messaggio una comunicazione aperta o una comunicazione criptica, così come il tono adirato o conciliante, o la cura dell’impaginazione di una lettera o di una email, o la sua trascuratezza.

Le persone e i clienti traggono informazione da tutto.

Per questo, la linea di azione comunicativa deve presidiare ogni fronte dal quale il cliente ricava messaggi e formula la sua immagine e le sue decisioni.

La linea di azione richiede inoltre studio ed analisi. Include soprattutto la ricerca di informazioni sugli interlocutori, sui reali potenziali di business, sui bisogni manifesti e latenti, e sulle leve di valore che maggiormente possono essere efficaci. 

Ogni negoziazione comprende una componente di seduzione e persuasione.

Come osserva un classico della seduzione:

La cortigiana dovrebbe dapprima inviare i massaggiatori, i cantanti e i giocolieri che eventualmente siano al suo servizio o, mancando questi, i Pithamardas ovvero confidenti e altri, a indagare sui sentimenti dell’uomo e sul suo stato d’animo. Per mezzo di tali persone, la cortigiana si accerterà se l’uomo è puro o impuro, se è amabile o meno, capace di attaccamento o indifferente, generoso o gretto;[1]

Ogni negoziazione, al di la della metafora provocatoria, contiene elementi di somiglianza e similarità con un corteggiamento, o con un matrimonio o fidanzamento. Con chi ci stiamo fidanzando? Chi sono le persone con cui stiamo trattando? Che carattere hanno? Che storia hanno? Cosa vogliono realmente? Di cosa hanno bisogno adesso?

Quando sia appurata la qualità potenziale dell’interlocutore, la gestione della comunicazione deve dare dimostrazioni di interesse così come la seduzione crea un rapporto tra due controparti.

Regole stereotipate e linee di azione ragionate

La tentazione di ricorrere a regole preconfezionate, nella negoziazione, è grande.

Sarebbe molto bello poter dire “quando parli con un Cinese, fai…, quando invece sei in America Latina fai x non fare y, e vedrai che il successo è garantito…”

Le regole comportamentali rigide rifiutano di prendere in considerazione la realtà dell’imprinting (matrice) culturale, la varietà di personalità, il lato emotivo dei soggetti e la loro identità multipla: un cinese può avere lavorato per multinazionali americane ed avere maggiore cultura di business anglosassone di un americano del midwest, può essere adirato o felice, può avere avuto esperienze positive o negative in passato con persone della nostra nazione, e questo non lo possiamo né sapere a priori né stereotipare.

Nessuna regola vale per sempre e con tutti.

Le regole stereotipate possono andare bene solo in una società non globalizzata. Oggi i mix culturali producono una multi-stratificazione di culture in ogni individuo che ha contatti con altre culture, per cui non è più possibile dare regole comportamentali certe. Quello che serve è un approccio flessibile, che tenga conto della realtà incontrata e non degli stereotipi, poiché nella negoziazione non esistono regole culturali assolute.

Le realtà che si possono incontrare sono le più diverse, e, come accennato, il grado di varianza intra-culturale non è minore di quello inter-culturale. 

Le poche regole certe devono essere quelle di:

(1) disporre di una “minima condotta efficace trans-culturale, o minimo comune denominatore del comportamento negoziale cross-culturale”, un approccio di qualità conversazionale che possiamo pensare di poter applicare ovunque, es: non interrompere inopportunamente, non offendere la “faccia” e immagine altrui, non esporsi con affermazioni pericolose in campo valoriale e religioso, cercare di capire gli interessi della controparte, e 

(2) conoscere le poche basi culturali generali dell’area geografica o merceologica ove si opera: il background culturale probabilistico che si potrà incontrare, le regole probabili (e sottolineiamo probabili, non certe) che vigono in una certa cultura geografica, etnica o professionale – anche queste da prendere con le pinze.

Occorre cambiare paradigma, passare dalle regolette certe alla flessibilità del comunicatore, occorre un cambiamento di atteggiamento.

Soppesando i pro ed i contro di diverse opzioni di contenuto, è necessario giungere alla definizione di quale messaggio dia la maggiore probabilità di successo.

Probabilità e non certezza. 

Dobbiamo quindi studiare la linea di azione con i minori ritorni negativi latenti, prevedere e anticipare i rischi di effetto boomerang.

Se siamo invitati da un commerciante arabo nella sua casa, spetta a noi capire, inquadrare (attività di framing) se sembra essere una famiglia tradizionalista, ortodossa, integralista, o informale o ancora dove e quanto ha studiato questo commerciante, che potrebbe non avere istruzione formale o avere invece due lauree prese a New York o Sidney. Solo applicando un atteggiamento di apertura ed ascolto possiamo interagire efficacemente.

La produzione di una linea di azione comunicativa non può ricorrere a stereotipi (es: “se sei attaccato, contrattacca”) e non avviene per pura intuizione creativa: essa è frutto di studio, di confronto, consultazione, scambio di pareri tra colleghi e tra colleghi e consulenti. 

Richiede ricerca, esplorazione di opzioni, valutazioni di fattibilità e anticipazione degli effetti. Richiede, in altre parole, l’umiltà del negoziatore professionale, che è sempre proteso a testare le proprie strategie e mosse, pronto con umiltà a confrontarsi con colleghi e consulenti sulla loro possibile efficacia, prima di lanciarsi nell’azione ciecamente seguendo stereotipi. 

Questa umiltà rappresenta il vero fattore distintivo del negoziatore professionale rispetto al “negoziatore rampante” :

  • distingue il prototipo del negoziatore arrogante che pensa di avere sempre ragione e usa stereotipi, da chi si siede ad un tavolo per analizzare e costruire qualcosa;
  • distingue chi si fa forte di leve contrattuali (potere, denaro, legislazioni, politica) da chi ricerca realmente un approccio win-win, di vantaggi reciproci;
  • distingue chi ritiene che il successo sia sempre dovuto e venga in tasca automaticamente, da chi pensa di dover costruire attivamente il proprio successo;
  • distingue chi si scava lentamente la sua fossa, da chi crea qualcosa per gli altri e non solo per se stesso.

Per costruire Action Lines di successo, è quindi necessario il confronto, concretizzato tramite diverse sessioni di brainstorming e di role-playing nelle quali esporre e testare le possibili linee di azione comunicative, per poi scegliere la linea a maggiore probabilità di riuscita.

Struttura delle linee di azione

Ciascuna linea di azione è suddivisibile in Steps, fasi temporali durante le quali si articola il processo di comunicazione. L’insieme dei passi attuati costituisce il percorso della linea di azione (Path). Ogni step prevede diverse comunicazioni, che vanno sottoposte ad esame e prova tramite role-playing (simulazione) o expert review (valutazione da parte di esperti).

Una Action Line Analysis (ALA) si può definire come l’analisi comparativa di una serie di tattiche alternative per il raggiungimento di un obiettivo. 

I fattori strutturali caratterizzanti una ALA sono (a) il numero di linee di azione comparate, e (b) il numero di steps per ciascuna linea.

Per ogni linea devono essere determinate le possibilità di successo, gli errori e trappole (traps), la fattibilità pratica, le ripercussioni sull’immagine di chi la metterà in pratica.

L’importanza della message strategy è la scelta accurata di una linea comunicativa che associ il messaggio a concetti mentali desiderati. Nel costruire una strategia del messaggio, dovremo anche fare attenzione ad associazioni che possano inquinare il marchio e il comunicatore con immagini mentali negative. 

Ogni parola emessa elicita (fa scaturire) costrutti mentali che sono contigui ad essa.

Le scienze cognitive hanno evidenziato che i messaggi non sono recepiti in modo isolato, ma si inseriscono sempre in una mappa mentale del soggetto, una mappa che associa il messaggio a concetti e immagini mentali. 

Per esprimere tale concetto, Shaw e Gaines fanno riferimento al concetto di “Geometria dello Spazio Psicologico”[2] espresso da Kelly (Psicologia dei costrutti personali): ogni messaggio si inserisce in spazi mentali e si associa alle aree contigue.

La message strategy richiede consapevolezza che ogni messaggio aziendale, ogni comportamento comunicativo della linea d’azione, produce immagini evocate, le quali creano un’anticipazione di eventi futuri nei nostri interlocutori (“come sarà lavorare con questa azienda?”) e attribuzioni di significati agli eventi stessi (“perché avranno detto questo?” “se si comportano così ora, cosa faranno dopo?”).

Trappole e problemi della negoziazione

Una delle caratteristiche della negoziazione interculturale è quella di non sapere bene con chi si sta trattando, a meno che non si tratti di noti marchi multinazionali. E anche nel caso di marchi noti, i ruoli possono essere talmente vari da richiedere un approfondimento.

Anche in questo caso, quindi, una dose di attività di analisi rimane fondamentale. Nella negoziazione si aprono numerosi rischi – solo per citarne alcuni – divulgando notizie ad interlocutori non noti, ma anche realizzare gratuitamente lavoro e attività che in altre situazioni andrebbero pagate.

Due riflessioni fondamentali sulla comunicazione.

La prima riguarda come i messaggi che lanciamo o che gli altri lanciano rafforzano o distruggono la sensazione di fiducia. I messaggi e le corrispondenze che noi inviamo o gli altri inviano contengono sempre elementi che possono creare credibilità (segnali di credibilità o credibility cues) così come possibili segnali che mettono in allerta e denotano caduta di credibilità (segnali che producono sfiducia o distrust cues).

La seconda riguarda l’appropriatezza del canale comunicativo. Uno dei suggerimenti più importanti del metodo action line, sul fronte negoziale, è quello di considerare attentamente l’economia della comunicazione, l’appropriatezza dei canali comunicativi rispetto al risultato che vogliamo raggiungere. Si può informare qualcuno con un SMS ma non certo negoziare tramite SMS.

Ogni canale informativo ha un costo comunicativo (alto o basso, in funzione del tempo o risorse necessarie) e una portata informativa (alta o bassa).

La comunicazione interpersonale, faccia a faccia, ha un alto costo relazionale, di tempo, e richiede impegno logistico elevato (bisogna spostarsi, trovarsi fisicamente nello stesso luogo alla stessa ora), ma possiede una enorme portata informativa: possiamo comunicare con tutto il corpo, con il body language, con i canali visivi, non verbali, emotivi, e ogni altro canale umano. Una email, al contrario, è un esempio di canale comunicativo di basso costo (temporale ed economico), ma di ridotta portata informativa reale. È difficile scambiare realmente emozioni o decodificare la controparte, partendo solo da un testo scritto.

Il metodo ALM invita quindi a porsi diverse domande sulla appropriatezza del canale rispetto al task (compito) da svolgere. Le domande chiave:

  • il canale che intendo utilizzare è adeguato al tipo di messaggio?
  • devo inviare solo flussi di informazione o devo anche chiederne?
  • i tipi di dati da trasferire sono solo tecnici (es: informazioni di prodotto, servizi, prezzi) o anche relazionali (comunicare per conoscersi, verifica di affidabilità, incremento della conoscenza reciproca, affiatamento relazionale)?
  • serve un dialogo interattivo o è sufficiente un ping-pong comunicativo?
  • che tempi ho a disposizione?
  • cosa rischio se sbaglio canale informativo?
  • che cosa mi permette di fare il canale che ho scelto?
  • che cosa non mi permette di fare? Quali sono i suoi limiti?

[1] Kamasutra, p. 152, 153. Edizione Mondadori, 1977, Milano.

[2] Shaw, M.L.G, e Gaines, B.R. (1992).”Kelly’s “Geometry of Psychological Space” and its Significance for Cognitive Modeling”. The New Psychologist, Oct. 1992, pp. 23-31.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le fasi della strategia di vendita

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi del processo di marketing per la vendita

Possiamo distinguere le fasi principali in tre livelli sequenziali:

  • fase della strategia di marketing;
  • fase della strategia di contatto (personal selling); 
  • fase della strategia di fidelizzazione e sviluppo della relazione.

Le tre fasi sono accompagnate da momenti trasversali quali:

  • attività di fissazione e sviluppo della leadership e people management;
  • attività di training e coaching per lo sviluppo del venditore consulenziale;
  • attività di monitoraggio dei risultati, dei comportamenti ed atteggiamenti.

I punti salienti del piano di sviluppo-cliente sono : 

Fase di pre-contatto – Strategie di Marketing :

  • la segmentazione del mercato (capire gli “strati” e tipologie di clienti esistenti),
  • la scelta dei segmenti di mercato su cui operare,
  • la selezione di specifici prospects (clienti ad alto tasso di interesse),
  • lo scouting di tali clienti (ricercare, identificare),
  • l’analisi del tipo di priorità da dare ai diversi prospects.

Fase di contatto e vendita:

  • i primi contatti personali o mediati, nei quali superare le barriere in ingresso e iniziare a costruire la fiducia, sia interpersonale che aziendale;
  • le fasi empatiche, di analisi e ascolto della situazione del cliente,
  • lo sviluppo di una attività consulenziale e migliorativa dal punto di vista delle forniture di cui dispone,
  • la ricerca di soluzioni (Solutions Selling) su cui chiudere e concludere una trattativa.

Fase di post-vendita – Sviluppo personale :

  • il consolidamento del cliente,
  • il cross-selling (ampliamento del tipo di prodotti),
  • assicurarsi che sia soddisfatto, sino a portarlo ad essere un nostro sostenitore e partner vero.

La vendita consulenziale si differenzia dalla vendita tradizionale per l’alto grado di valore aggiunto generato dal venditore stesso. 

Il valore aggiunto consiste soprattutto:

  • nella localizzazione dei segmenti di mercato su cui agire;
  • nelle scelte di posizionamento: come vogliamo posizionarci e differenziarci rispetto ai tanti competitor?
  • nella capacità di ascolto praticato dal venditore nei riguardi del cliente, 
  • nella ricerca di soluzioni personalizzate, frutto di negoziazione;
  • nella consulenza d’acquisto;
  • nel contributo culturale che si porta al cliente;
  • nel problem-solving e post-vendita, in grado di portare il cliente dallo stato di cliente occasionale a cliente fidelizzato e sostenitore.

Il consulente offre al cliente aiuto con la propria attenzione focalizzata

La vendita consulenziale parte dalla volontà del venditore di divenire partecipe di un processo evolutivo del cliente, configurandosi quindi come una forma di consulenza di processo.

La vendita consulenziale si inserisce all’interno di una filosofia di marketing aziendale “centrata sul cliente”.

Come evidenzia Kotler:

Il concetto di marketing è emerso a metà degli anni ’50 e ha messo a dura prova i concetti precedenti. Invece di adottare una filosofia centrata sul prodotto, “produci-e-vendi”, si adotta una filosofia centrata sul cliente, “ascolta-e-rispondi”.[1]

Per poter dare concretezza a questa filosofia servono però venditori consulenziali all’altezza del compito e leader preparati.

I principi del CVBU : Caratteristiche, Vantaggi, Benefici, Unicità

I principi di marketing per la vendita consulenziale:

  1. dare priorità alla ricerca di una soluzione efficace e positiva per il cliente (vendita consulenziale);
  2. costruire piani di vendita strutturata anziché azioni di vendita “alla giornata”;
  3. agire tramite campagne anziché con azioni spot;
  4. formare i venditori e sviluppare il loro potenziale;
  5. assicurarsi che i venditori dispongano di una conoscenza perfetta delle reali motivazioni di valore su ogni elemento del value mix: quali sono le caratteristiche, i vantaggi, i benefici, le eventuali unicità (CVBU), della nostra offerta e come queste si declinano per il singolo cliente.

L’analisi CVBU si applica non solo al prodotto ma all’intero marketing mix, includendo almeno CVBU del prodotto/servizio, del pricing, della distribuzione e della comunicazione/informazione.

Al centro di ogni analisi CVBU si colloca il potenziale cliente. Nessun ciclo CVBU può svolgersi in astratto: la percezione di valore ha luogo solamente nella mente del cliente.

I cinque punti primari per inquadrare le attività di vendita

Secondo la metodologia dell’Action Line Management (ALM) va posta attenzione:

  1. agli scenari: cosa succede nella domanda, nella concorrenza, nelle tecnologie, in che ambiente mi muovo?
  2. alla missione e alla consapevolezza dei suoi confini (analisi esistenziale, domande esistenziali): a chi diamo risposte, chi siamo, cosa facciamo realmente, cosa un cliente deve sapere di noi, perché non serviamo alcuni clienti, chi serviamo e chi no, dove si collocano esattamente i confini della nostra missione; all’organizzazione: come ci organizziamo per dare corpo alla missione e alla nostra visione/aspirazioni;
  3. al marketing mix / value mix: consapevolezze dei prodotti/servizi, delle loro caratteristiche, e del valore intrinseco posseduto;
  4. alle linee di azione e tattiche personalizzate: come declinare la strategia cliente per cliente, quali “strategie di interazione” adottare;
  5. al front-line, ai momenti di contatto di ogni natura, ogni momento della verità in cui il sistema azienda impatta il cliente (e non solo il cliente, anche fornitori e altri portatori di interessi);

La visita mirata all’interno di un’azione commerciale

Una visita mirata si differenzia da una visita generica in base al grado di preparazione precedente la visita stessa. 

In una visita mirata, sono stati già esplorati a priori i possibili problemi, le possibili obiezioni primarie, gli ostacoli prevalenti alla conclusione di vendita. 

In una visita mirata, il venditore è pienamente consapevole del “cosa sto entrando a fare”, distinguendo tra:

  • valutare se esistono spazi per…
  • valutare se esistono le condizioni per…
  • approfondire la situazione del cliente riguardo ….
  • concludere una negoziazione avviata entro …
  • capire la serietà del cliente e le intenzioni reali di acquisto, offrendo le seguenti alternative e scadenze…

Una visita mirata si prefigge di comprendere lo scenario del cliente aggiungendo dati e informazioni a quelle già disponibili, per poi poter puntare ad una conclusione consulenziale favorevole, che riduca i costi psicologici di acquisto e faccia leva sugli aspetti motivazionali del bisogno sottostante del cliente.

Rendere mirata una visita significa quindi:

  • anticipare gli scenari aziendali e psicologici che possiamo fronteggiare: studiare il sistema-cliente prima di entrare, sulla base dei dati disponibili;
  • chiedersi quali dati servono ancora per poter offrire una soluzione realmente consulenziale (Information Gap Analysis), e preparare una scaletta di informazioni e punti di interesse da approfondire con il cliente stesso;
  • anticipare i livelli di possibile bisogno;
  • posizionare una tipologia di fornitura desiderata (target negoziale strategico): es: distinguere tra diventare fornitori ufficiali, fare un ordinativo di prova, e altri tipi di relazioni commerciali;
  • dare ampio spazio ai momenti di ascolto del cliente;
  • entrare soprattutto per ascoltare, dare enfasi alla fase di analisi ed ascolto.
  • concludere su ipotesi di possibile interesse e soppesare con il cliente valore differenziale di ciascuna;
  • porre il cliente di fronte alla responsabilità di prendere una decisione.

La partnership strategica e il comakership (fare assieme)

Lo sforzo consulenziale viene premiato non tanto da una singola vendita ma soprattutto dalla capacità di ingresso nel sistema cliente.

Una partnership strategica è l’obiettivo sottostante la vendita consulenziale.

La partnership strategica è caratterizzata da:

  • rapporto intenso,
  • co-progettazione,
  • ricerca e sviluppo svolta su ambiti di interesse comune (Joint Research & Development),
  • contatti frequenti,
  • studi congiunti sul mercato di destinazione.

La forza contrattuale e negoziale

La negoziazione competitiva richiede la creazione di forza contrattuale. 

La forza contrattuale dipende dal livello di unicità dell’offerta (o dalla mancanza di alternative valide o succedanee) e dal livello di bisogno esistente nella controparte, mediati dalle abilità comunicative.

Le competenze negoziali competitive richiedono training alla negoziazione e alla gestione delle mosse strategiche dell’interazione. 

In particolare, il training deve focalizzarsi :

  • sulla capacità di analisi dei segnali non verbali,
  • sul controllo dei propri segnali,
  • sugli stili comunicativi verbali,
  • sull’analisi transazionale del dialogo (AT),
  • sulle tecniche di convergenza verso il risultato e di gestione strategica dell’obiezione. 

Le tecniche negoziale divengono ancora più complesse quando le trattative avvengono tra gruppi (es.: gruppi di acquisto contro gruppi di vendita) poiché la dimensione comunicativa si allarga, richiedendo competenze nell’affiatamento tra i partner e coordinamento nelle mosse dell’interazione tra i membri dell’equipe[2]. Gestire la trattativa richiede preparazione e role-playing. Una singola parola può rovinare un incontro.

Principio 2 – Del potere contrattuale e negoziale

Il vantaggio competitivo dipende dalla forza contrattuale nella trattativa.

Per il venditore o proponente, la forza dipende:

  1. dall’unicità dell’offerta: un’offerta non comparabile con altre offerte ha più valore;
  2. dalla mancanza di alternative presenti o creabili : l’impossibilità di trovare con ragionevole sforzo soddisfazione altrove;
  3. dalla mancanza di beni succedanei (beni diversi che possono svolgere una funzione simile, es: treno al posto dell’aereo);
  4. dall’impellenza del bisogno nel destinatario: un bisogno importante genera minori freni e incertezze;
  5. dal prestigio di cui gode il proponente: un proponente credibile e prestigioso crea minori barriere legate alla valutazione a priori del partner;
  6. dalla forza dei fattori oggettivi dell’offerta: le caratteristiche della prestazione – la sua tecnologia, il servizio reale.

Ciascuna di queste leve anche se presente in misura elevata non si dispiega automaticamente ma richiede abilità di valorizzazione e comunicazione.

Il dispiego ottimale della forza contrattuale (per chi offre) si correla positivamente con il livello di competenze comunicative specifiche del negoziatore (abilità negoziale del venditore) e negativamente con le competenze dell’acquirente (abilità del buyer).

Possiamo riassumere i punti salienti di una strategia negoziale individuando tre specifiche Macro-fasi:

Fase di preparazione : Briefing, analisi a priori Role-playing, preparazione delle action lines

Fase di contatto : Ricerca dei canali di ingresso, Face-to-face, Mediato

Fase di debriefing : Debriefing osservazionale (dati+emozioni), Debriefing strategico

Tutte le fasi evidenziate sono critiche, e per ciascuna esistono strumenti e metodologie appropriate. 

La nostra attenzione sarà dedicata alla fase di contatto front-line, utilizzando soprattutto alcuni spunti metodologici offerti dalla Conversation Analysis (CA), o Analisi della conversazione (AC). 

Al centro di tutto, nel contatto umano, si colloca la capacità di ascolto, senza la quali gli sforzi precedenti per “entrare” in un sistema cliente diventerebbero vani.


[1] Kotler. Dal cap. 1 “La comprensione del processo di marketing management”, in “Il marketing secondo Kotler”

[2]  Vedi Goffman (1959) per l’analisi dei comportamenti pubblici delle equipe.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Gestire efficacemente i diversi livelli di relazione tra aziende

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Livelli di vendita e target di risultati

Possiamo identificare alcune grandi approcci e tipologie di vendita ed il relativo target di risultato:

  • Vendita distributiva – Cogliere le opportunità già focalizzate dal cliente, acquisire gli ordinativi per categorie di prodotti noti e abituali.
  • Vendita consulenziale – Esplorare il sistema cliente, svolgere analisi e diagnosi approfondite, trovare le soluzioni giuste per il cliente, costruire pacchetti personalizzati, diventare fornitore di riferimento per una intera gamma di bisogni, sia attuali che futuri, sostituire i fornitori precedenti che non assicurano il grado di servizio ottimale.
  • Vendita complessa – Vendere a diversi livelli all’interno del sistema-cliente presidiando tutti i decisori chiave, acquisire commesse importanti ad alto impegno relazionale e “politico”, diventare il fornitore di riferimento.
  • Key Accounting – Presidiare la relazione con il sistema-cliente, mantenere continuità di rapporto, evitare rotture di rapporto e malfunzionamenti della relazione.
  • Corporate Relationship Building – Creare le condizioni di vicinanza relazionale con elementi del sistema-cliente, creare “entratura” relazionale.

Vendita distributiva

La vendita distributiva riguarda una tipologia di rapporto a basso livello di contatto umano, come l’invio di mailing o il semplice “passare per vedere se serve qualcosa” di un rappresentante in un’azienda già cliente o andare in un bar per fare un riordino di latte o patatine.

Il suo scopo è distribuire l’esistente e non creare il nuovo.

Vendita consulenziale

La vendita consulenziale si definisce tale quando il venditore applica una dose elevata di analisi prima di confezionare una proposta o pacchetto di vendita. 

La vendita consulenziale è necessaria in ogni relazione profonda. 

La vendita consulenziale è necessaria soprattutto quando si cerca di esplorare il potenziale di un cliente e non ci si accontenta dei suoi bisogni apparenti o di superficie. È utile anche quando si vuole uscire dalla routine e si desidera portare soluzioni non preconfezionate ma tarate sulla condizione esatta di quel cliente in quel particolare momento del tempo.

Vendita complessa

La vendita complessa è il livello di vendita che oltre ad essere consulenziale tocca molteplici decisori nell’azienda cliente e coinvolge molteplici protagonisti nell’azienda venditrice. 

Si tratta di una vendita many-to-many, in cui molte persone del sistema cliente si interfacciano con molte persone del sistema del fornitore.

In questo territorio delicato occorre presidiare numerosi gradi di relazione e stare attenti al fatto che tutti giochino lo stesso gioco e nessuno rovini la relazione con messaggi inappropriati o comportamenti non concordati.

Sul fronte del fornitore possono essere coinvolti i funzionari commerciali, i tecnici, il marketing, sino alla direzione generale. Sul fronte del cliente possono essere coinvolti l’ufficio acquisti, la direzione commerciale, i tecnici, gli utilizzatori, i decisori e gli influenzatori, e numerosi altri stakeholders[1] e opinion-leaders, sino alla massima direzione.

Una disattenzione nelle comunicazioni di livelli poco presidiati (es: tecnici con tecnici, responsabili assistenza dell’azienda venditrice che si rapportano ad altri tecnici dell’azienda cliente su dettagli di prodotto) può produrre effetti dirompenti e distruttivi. Una sola informazione sbagliata che sfugga può risalire la piramide aziendale in modo distorto e minare l’intera operazione.

Il training necessario per le vendite complesse

Le aziende evolute, soprattutto multinazionali, effettuano specifici training sulle relazioni con il cliente (Brand Communication Management) finalizzati ad insegnare ai tecnici a valorizzare il marchio con comportamenti e atteggiamenti di front-line adeguati, a non inquinarlo con errori comportamentali. 

Il problema non è solo dei rapporti tra tecnici ma riguarda ogni soggetto coinvolto nel front-line, come un magazziniere che deve consegnare un prodotto già acquistato (e può con il suo comportamento dare conferme positive o invece rovinare l’immagine aziendale faticosamente costruita durante la vendita). tocca anche chi risponde al centralino, l’immagine dei siti web, la qualità delle comunicazioni commerciali e persino le comunicazioni di servizio (email, fax, note). Ogni aspetto della comunicazione ha un impatto.

Le situazioni one-to-many (un venditore che fronteggia diversi interlocutori nell’azienda cliente) sono spesso da inquadrare nelle vendite complesse, e dobbiamo eliminare la tendenza a darvi meno importanza del dovuto. Quando un team di acquisto ben preparato fronteggia un solo e singolo rappresentante dell’azienda venditrice, possono facilmente crearsi condizioni di difficoltà, soprattutto se il team di acquisto applica strategie appositamente preparate per creare difficoltà, ed è formato per farlo.

Ricordiamo inoltre che molte aziende praticano training intensivi di negoziazione d’acquisto ai propri buyer e negoziatori, spesso con l’intento di “spremere” il più possibile dal venditore e metterlo in difficoltà[2].

Questo deve trovare un contraltare adeguato in eccellenti training di vendita consulenziale e psicologia della vendita.

Le situazioni many-to-one (diversi rappresentanti dell’azienda venditrice che fronteggiano un solo buyer o altro decisore sul fronte cliente) sono abbastanza rare ma in genere rientrano nella categoria della vendita consulenziale.

In ogni e qualsiasi condizione, un training di vendita consulenziale è necessario e deve includere almeno:

  • elementi di psicologia della comunicazione verbale, paralinguistica e non verbale,
  • tecniche di ascolto, ascolto attivo ed empatia strategica,
  • tecniche di mappatura dei decision-makers,
  • tecniche di Key-Leader-Engamenent,
  • tecniche conversazionali,
  • tecniche di intelligenza emotiva e autocontrollo emotivo,
  • elementi di marketing per la vendita,
  • tecniche di chiusura e concretizzazione.
  • tecniche di qualità totale della comunicazione;
  • tecniche per la costruzione delle linee di vendita e gestione delle strategie di vendita e linee di azione (Action Line Management).

Questi sono solo alcuni dei molti elementi che devono essere parte di un piano di formazione per la vendita consulenziale.

Key-accounting e Solutions Selling

Il Key-Accounting rappresenta il grado di relazione in cui un soggetto (Key-Account) viene incaricato della missione di presidiare la relazione con un cliente importante, mantenerla “calda” e “lubrificata”, sondare continuamente i trend che accadono entro l’azienda cliente, capirne gli equilibri decisionali e i loro mutamenti, anticiparne le possibili mosse, e prepararsi adeguatamente.

Il Key-Account (a seconda di come il ruolo viene definito e interpretato nelle singole aziende) è responsabile anche dei budget del cliente, delle offerte economiche, della formulazione delle soluzioni di vendita, preventivazione e verifica della customer satisfaction. 

Opera soprattutto con uno spirito di vendita consulenziale centrato sulla ricerca di soluzioni (Solution Selling).

Corporate Relationship Building

Il Corporate Relationship Building rappresenta l’attività di costruzione di relazioni tra imprese (marketing relazionale). 

Il CRB è un’attività propedeutica alla vendita, essendo finalizzato alla “entratura” in un sistema-impresa da angolazioni non strettamente commerciali o non unicamente commerciali. 

Può trattarsi di creare conoscenza tra tecnici e tecnici, in un incontro organizzato da una terza parte. Può richiedere la partecipazione ad eventi politici o associativi da parte della direzione, o di manager. Può includere scambi di favori o di informazioni, ricerca di eventi sociali cui parteciperanno le persone che ci interessa contattare, e altre linee di azione (action lines) di avvicinamento ad un sistema-impresa.

Nel CRB la preoccupazione principale non è siglare un contratto ora e subito (fretta di concludere), ma creare le condizioni affinché si possa avviare un rapporto commerciale saltando i filtri e le barriere classiche, negoziando a livelli più elevati nell’organizzazione, o riducendo le difficoltà che si presentano a chi si avvicina ad un sistema che non conosce e nel quale non ha entrature.

Un’impresa moderna deve fare formazione su tutti i livelli, ad esempio:

  • Corporate Relationship Building: per avviare nuovi contatti
  • Solution Selling; per apprendere la vendita consulenziale basata sulla costruzione di “soluzioni”
  • Brand Communication Management: a tutti i livelli aziendali, per evitare che comportamenti e comunicazioni inquinino l’immagine di marchio o distruggano le trattative in corso, o riducano la customer satisfaction di chi ha già comprato e vogliamo fidelizzare.

Un’impresa che intenda affrontare la vendita in modo serio dovrebbe decisamente praticare training e coaching costante, permanente, a cadenze fissate, e non solo come soluzione d’emergenza.

Quando le cose vanno male o le vendite calano, l’intervento formativo deve essere accompagnato da una buona dose di diagnosi organizzativa e ristrutturazione organizzativa, che porti a localizzare e rimuovere gli elementi che hanno portato a quella condizione negativa.


[1] Stakeholder: portatore di interessi, soggetto in grado di avere influenza sulle decisioni.

[2] Ricordiamo a questo fine alcune “deviazioni” delle tecniche PICOS, nate inizialmente come tecniche di co-makership tra industrie automobilistiche e loro fornitori, e trasformate da altri come strumenti scientifici di indebolimento psicologico del venditore.

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