Dalla prestazione oggettiva alla prestazione soggettiva

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Per direzionare la crescita e lo sviluppo del prodotto/servizio, è necessario introdurre un concetto chiave: la fonte di valutazione della prestazione (PES: performance evaluation source), i fattori in base ai quali il consumatore giudica positiva o negativa una prestazione resa da un prodotto o servizio.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario realizzare un’importante rivoluzione, spostando l’oggetto della customer satisfaction dalla prestazione oggettiva alla prestazione soggettiva. I due concetti sono molto diversi.

La prestazione oggettiva riguarda aspetti prestazionali misurabili in laboratorio, non discutibili. La prestazione soggettiva riguarda invece la valutazione realizzata dal singolo consumatore, in base a criteri del tutto personali, sotto l’influenza dei propri filtri biologici, psicologici, culturali e sociali.

Mentre la qualità ingegneristica misurabile in laboratorio costituisce un dato di fatto, è necessario considerare che per il consumatore la base di misurazione della performance non avviene in laboratorio, ma è data dalle sensazioni percepite durante l’uso.

Non è possibile per il consumatore medio realizzare una misurazione scientifica della qualità. Di fatto egli si affiderà ai propri sensi, agli stimoli che provengono da un rapporto personale con il prodotto, soprattutto con i suoi aspetti di superficie, con i quali esso viene a contatto.

Per un ingegnere, ad esempio, può essere assolutamente irrilevante il rumore o suono prodotto dal meccanismo di espulsione dei dischetti dal PC. Per un consumatore può essere inconsciamente un segnale molto forte, in quanto utilizza inconsapevolmente questa informazione per trarre inferenze sulla robustezza del prodotto, sul suo grado di tecnologia, e sulla sua cura costruttiva.

Poco importa se queste sue inferenze, se queste sue deduzioni sono magari sbagliate. Se alla fine determinano un mancato acquisto, o un’impressione negativa di prodotto, diventano molto importanti. Quindi, per uno psicologo del prodotto, per il marketing, e per il fatturato aziendale, esse sono fondamentali.

In questo campo assistiamo ad uno scontro filosofico, tra orientamento al prodotto (ingegneristico) e orientamento alla psicologia del fruitore (orientamento di marketing), che permea molte aziende contemporanee, produce forti conflitti interni all’impresa.

©Copyright. Articolo estratto con il permesso dell’autore dal libro di Daniele Trevisani: “Psicologia di Marketing e Comunicazione” Franco Angeli Editore, Milano

Semantica articolo. Le parole chiave di questo articolo sono:

Percezione soggettiva

Percezione oggettiva

Orientamento di marketing

Marketing mix

Parametri di valore

Valutazione della prestazione

Sviluppo del prodotto

Customer satisfaction

Filtri biologici

Filtri psicologici

Filtri culturali

Filtri sociali

Prestazione

Qualità

Efficienza

Efficacia

Misurazione

Standard

Analisi

Test

Benchmarking

Conformità

Indicatori di performance

Feedback

Miglioramento continuo

Soddisfazione del cliente

Rendimento

Monitoraggio

Reportistica

La motivazione di un coaching in profondità

La motivazione di un coaching in profondità

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano.

L’anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci: soprattutto perché provi un senso di benessere, quando gli sei vicino.

Charles Bukowski

La crescita personale assomiglia ad un viaggio compiuto per ritrovarsi, o per scoprire chi siamo davvero, o cosa potremmo essere. Questo vale anche per la crescita professionale. Alla base di tutto vi è la volontà di accedere a nuovi livelli di vita, o a nuovi livelli professionali, e persino a nuovi stati emotivi. Per farlo con successo, tuttavia, serve un modello che ci guidi. 

Il modello Deep Coaching, derivazione del Modello HPM (Human Potential Modeling) sviluppato per la crescita del potenziale umano, ha proprio questo scopo.

In particolare, un metodo di crescita personale o professionale deve rispondere ad alcune domande di base: 

  1. quali fattori primari prendere in considerazione per liberare il potenziale e di conseguenza le performance? 
  2. come si può attivare una buona formazione esperienziale e un coaching in profondità (Deep Coaching) per stimolare la crescita delle energie personali, delle competenze, della progettualità, sino ai valori e alla spiritualità? 

Al centro di tutto questo ragionamento c’è la convinzione profonda che l’essere umano possa prendere in mano larga parte delle redini del suo destino. Per farlo, occorre fare alcuni cambiamenti radicali, proposti nel Metodo HPM (Human Potential Modeling), che qui trattiamo. Dobbiamo imparare a fare cose che non facevamo prima, come il lavoro bioenergetico sul corpo, il training mentale, e tante altre aree previste nel metodo, e farle diventare abitudini sane e positive per la nostra crescita personale.

Sembra sempre impossibile, finché non viene fatto

Nelson Mandela

Se fai tuo questo pensiero, scoprirai che puoi avventurarti in nuove strade della vita, crescere, migliorare e cambiare il tuo modo di pensare, il tuo corpo, il tuo stato mentale e la tua comunicazione e i rapporti con gli altri. Puoi arricchire emotivamente la tua vita. Puoi aiutare gli altri a migliorare a loro volta. Puoi lasciare un segno del tuo passaggio. Puoi dare un contributo alla Civiltà Umana.

Il metodo si interessa sia di chi opera nelle performance di élite (testato in 30 anni di lavoro sul campo nel top management, sport agonistici, ma anche progetti aziendali di alta rilevanza strategica) che della vita quotidiana, e delle azioni di tutti i giorni.

È convinzione diffusa che le performance siano sforzi destinati ad un fine. Vero, ma proviamo per un attimo ad invertire il punto di vista, ed osservare le performance umane come un “termometro”, un indicatore del grado di libertà e di auto-espressione raggiunto. 

Questo ci permette di trovare un fine molto più nobile che non siano prestazioni aride e fini a sé stesse: l’elevazione verso livelli di energie, competenze e cause superiori, sia in senso materiale che spirituale.

Il tema dominante di tutto il nostro pensiero va ricentrato, e presto. 

Dobbiamo spostarlo dal baratro di banalità in cui il pensiero comune, la televisione, i media commerciali, le letture stupide, e la cultura mediana cercano continuamente di spingerci per non farci pensare. 

Dobbiamo cambiare i parametri che usiamo per valutare noi stessi e gli altri. Il conto corrente o la bellezza esteriore sono solo indicatori apparenti, e spesso fuorvianti, di chi sia veramente una persona e di quale sia il suo vero valore.

Dobbiamo liberarci dal cancro mentale che tu sia solo Genetica e tu non abbia alcuna possibilità di influire su ciò che sei, a cosa guardi, verso dove sei diretto, e quindi sul tuo futuro. Dobbiamo iniziare a praticare concretamente la crescita personale e non solo a desiderarla.

Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia. L’audacia reca in sé genialità, magia e forza. Comincia ora.

Johan Wolfgang von Goethe

La tua dote genetica può aver deciso la tua altezza, ma sono nelle tue mani il tuo potenziamento muscolare, la tua flessibilità articolare, o il tuo peso, e persino la tua rapidità di ragionamento, o la liberazione dall’ansia mentale e dallo stress inutile, o da un’immagine di sé improduttiva e dannosa. Sono tutti fattori allenabili e lavorabili con un buon programma di coaching e di training, fatti in profondità. 

Nel Deep Coaching dobbiamo mettere al centro la sacralità dell’essere umano e il forte bisogno di non sprecare nemmeno una vita, nemmeno un giorno, nemmeno un minuto, in qualcosa che non sia legato ad una visione positiva, di emancipazione e di crescita.

E, per crescere o reindirizzare il pensiero, le buone intenzioni non sono sufficienti. Serve un metodo che aiuti a canalizzare questo sforzo positivo. 

Qualsiasi sia la tua età o condizione, non è mai troppo tardi per iniziare o intensificare un lavoro su te stesso orientato alla tua crescita personale o professionale.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

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Microcompetenze cognitive e abilità mentali

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Esempio dell’addestramento dei Samurai

L’analisi degli atteggiamenti e comportamenti sul piano micro riguarda anche come il pensiero si formula prima e durante la prestazione.

Osserviamo alcune competenze proposte da Musashi nell’addestramento dei Samurai. Ciascuno di questi insegnamenti può essere disaggregato e trasformato in micro-competenza allenabile:

L’atteggiamento che si deve tenere nei confronti dell’Hejò (la via del Guerriero, n.d.a.) è lo stesso che si ha nella vita quotidiana, sia in tempo si pace che in guerra. Il vostro punto di vista deve essere il più vasto possibile quando esaminate la realtà intorno a voi. Siate sereni e non perdete le staffe. La mente deve mantenersi al centro e non fluttuare. Il vostro spirito deve essere saldo, non lasciatevi mai andare, neppure per un attimo. La vostra mente sia lucida, elastica, libera aperta.

Anche quando il vostro corpo riposa state sempre all’erta. Quando vi muovete rapidamente la mente deve rimanere distaccata, fredda, essa non deve essere soffocata dal corpo, né il corpo dalla mente. Affidatevi allo spirito e ignorate la materia.

[1] Musashi, Myamoto (1644), Il libro dei cinque anelli (Gorin No Sho), edizione italiana Mediterranee, Roma, 1985, ristampa 2005.

Ed ancora, in un passaggio successivo:

Colpire il nemico nella giusta frazione di tempo significa saper cogliere l’attimo in cui egli appare indeciso e sferrare il colpo senza muovere il vostro corpo, né alterare il vostro spirito.

Il momento esatto di colpire il nemico, prima che abbia deciso di indietreggiare, parare o assalire, è la “giusta frazione di tempo”.

Un vero professionista di coaching e formazione deve saper prendere questi temi e trasformali in training a livello micro, per poi ricomporre l’intero quadro e dare a tutte le fasi un senso d’insieme.

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L’analisi dello stato di forma personale

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Per poter agire efficacemente nei programmi personalizzati è necessario conoscere il punto di partenza della condizione o stato di forma.

L’analisi dello stato di forma bio-energetico può essere svolta tramite:

  • test oggettivi di performance: test e prove che misurano una specifica va­riabile legata ad un distretto del sistema o alla prestazione congiunta di più distretti;
  • test di laboratorio: analizzano aspetti chimici e fisici di diverse aree e si­ste­mi;
  • autovalutazioni soggettive: analisi impressionistica praticata dal sogget­to stesso (spesso distorta da fenomeni di distorsione percettiva e atten­zione selettiva);
  • autovalutazioni guidate da check-list: analisi della presenza di sintomi e segnali correlati agli stati dei diversi sistemi, così come percepiti dal sog­getto stesso;
  • colloqui interpersonali con un coach o specialista (medico, preparatore, consulente, terapeuta), il quale utilizzi specifici modelli di que­stionario o intervista atta ad analizzare il tema, o abbia proprie esperien­ze e sensibilità per cogliere segnali deboli da approfondire successiva­mente.

 I test oggettivi di performance e i test di laboratorio

I test di performance analizzano il risultato complessivo del sistema corpo-mente a fronte di un input.

L’input può essere semplice (es.: ruotare le spalle per verificare la mobilità articolare e la rigidità dei muscoli), o complesso: realizzare un percorso ad ostacoli che richiede differenti abilità (salite, discese, passaggi), o la misura di un tempo di reazione ad uno stimolo.

Poiché vi è la compartecipazione di più apparati è necessario essere consapevoli di quali aree effettivamente vengono ad essere misurate con i test.

Sul piano fisico, prendendo a prestito alcuni parametri di valutazione sportiva, sarà possibile analizzare:

  • la resistenza allo sforzo prolungato (endurance);
  • la forza muscolare (forza massimale, es.: peso spostabile in un certo eser­cizio);
  • forza esplosiva (capacità di generare movimenti rapidi);
  • la flessibilità (articolare e muscolare).

Questi test impegnano soprattutto i sistemi cardiovascolari, muscolari e articolari. Altri test, quali quelli di coordinamento motorio, riguardano invece il funzionamento congiunto dei sistemi muscolari e del sistema nervoso.

Tutte le aree e distretti corporei possono essere monitorati nella funzionalità e nello stato di forma, tramite test opportuni.

I test di laboratorio consentono di misurare aspetti non visibili dello stato di carica di diversi sistemi. Rientrano tra questi tutti gli strumenti di diagnostica medica, tra cui:

  • esami di laboratorio (es.: esami del sangue);
  • test di laboratorio in setting controllato (es.: VO2 max per l’analisi dello stato di forma del sistema aerobico, e altri test);
  • test strutturali, es., la composizione corporea (massa grassa e massa ma­gra).

 Autovalutazioni soggettive

Sono le formule più semplici ma anche più suscettibili di errore, in quanto si basano sulla percezione stessa dell’individuo.

Ogni individuo vive all’interno di una serie di filtri percettivi (percezione selettiva, attenzione selettiva, memoria selettiva) che riducono la sua oggettività e rendono difficile una autovalutazione corretta.

Sono comunque utili per avviare un percorso di autoconoscenza e una prima identificazione delle aree critiche auto-percepite, che hanno comunque importanza sul piano soggettivo e psicologico.

 Autovalutazioni guidate da check-list

Sono basate sulla compilazione di test o di batterie di domande a risposta multipla (check-list) in cui sono presentati sintomi di problemi. Dalle risposte fornite è possibile ricavare una serie di indicazioni rispetto al funzionamento dei sistemi analizzati.

Colloquio interpersonale di coaching

Il colloquio interpersonale può utilizzare strumenti strutturati, come un questionario predisposto, strumenti semi-strutturati, come un questionario con parti libere e parti preconfezionate, o strumenti non strutturati, il colloquio in profondità, il colloquio basato su libere associazioni.

L’essenziale, nel colloquio di coaching, è che – mentre procede la rassegna sui vari temi di analisi – il coach impari ad osservare le espressioni non verbali che accompagnano il tema specifico, i segnali che possono trasmettere stati di disagio o problematiche senza che il soggetto le verbalizzi esplicitamente.

La consapevolezza dello stato corporeo

Nessun disagio, nessuna lacuna o mancanza è realmente grave se sappiamo dove è localizzata, da dove viene, come arrestarla.

Il “problema dei problemi” è invece la mancata conoscenza/consape­volezza dei dettagli di un disagio bioenergetico: la (1) misura, (2) localizzazione, e (3) motivazione (il perché è nato o persiste).

Se si riesce a capire la matrice di lifestyle (lo stile di vita, i comportamenti attuati, le abitudini) e di thinkstyle (stili di pensiero) che generano un disagio fisico o problema, è possibile sradicarlo, rimuoverlo alla radice.

Questo vale su ampia scala, sia esso un problema di alimentazione scorretta appresa, un problema di gestione del tempo per il riposo vs. tempo produttivo vs. tempo per il fitness (gestione dei macro-tempi personali), o ancora un problema dovuto a fattori genetici, o ancora a fattori ambientali.

È essenziale appurare ove si colloca e quale è la radice di un malessere bioenergetico.

Prendiamo una indigestione: cosa la ha generata? È stato il cibo o la combinazione di cibi (problema di scelta degli alimenti e delle associazioni alimentari)? È stato il momento della giornata in cui abbiamo mangiato quel cibo (relazione tra capacità digestiva del momento e assunzione di determinate qualità e quantità)? È stata l’attività svolta subito dopo mangiato (elemento di gestione del proprio stile di vita)? O è uno stato di stress emotivo che rende difficile la digestione? Siamo in grado di capire cosa l’ha provocata e come non farla più accadere?

Se non vengono compresi alla radice i comportamenti che provocano disagio bioenergetico, non sarà possibile fare avanzamenti, gli errori si ripeteranno e si aggraveranno.

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Metodi per far accadere una scoperta autonoma dei saperi

Metodi per far accadere una scoperta autonoma dei saperi

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano

Ogni volta che sconfiggiamo l’ignoranza latente su chi siamo, cosa siamo e cosa possiamo diventare, questa diventa una vittoria da celebrare. E sappiamo anche che una vittoria profonda richiede un lavoro in profondità. Nel Deep Coaching non ci accontentiamo di incrementi puramente conoscitivi ma vogliamo che il cambiamento interessi il corpo, la mente, lo spirito, e l’essenza vitale delle persone stesse. So che si tratta di sfide difficili ma questo non ci farà demordere.

Più difficile è la vittoria, più grande è la felicità nel vincere.

Pelé

Su numerosi aspetti di teoria manageriale e comportamenti aziendali, è possibile applicare una formazione attiva in cui i clienti siano partecipi della costruzione della conoscenza stessa.

Il DCE (Diagramma di Causa-Effetto) è uno degli strumenti più utili in questa fase. Scopo del DCE è quello di costruire teorie e sviluppare modelli operativi sulla base di conoscenze già possedute dai partecipanti.

Il DCE si basa sul dato di fatto che molto di quanto il formatore desidera trattare è già conosciuto dal discente, molto sapere è già accumulato all’interno delle esperienze dell’individuo e – per sommatoria – del gruppo in formazione.

Il DCE aiuta a sistematizzare questa conoscenza e a tradurla in modelli applicabili e operativi per l’azione manageriale, è utile sia per analizzare situazioni esistenti che per prevedere andamenti futuri. Come sottolinea von Wright[1],

la costruzione delle teorie serve a due scopi principali: prevedere l’accadimento di eventi o risultati di esperimenti, e così anticipare nuovi fatti, e spiegare, o rendere intelligibili, i fatti che sono stati già registrati.

Il DCE serve per entrambi gli obiettivi: per analizzare relazioni di causa-ed-effetto (costruire un quadro di ipotesi relativo a tutti i fattori che possono generare un risultato o causare un problema), ma anche per allenarsi al variables-reasoning (il “ragionare per variabili”) prima di prendere decisioni (agire per rovesciare il comportamento del “management da bar”).

Il valore del DCE è quindi sia 

  • Strumentale: (le analisi che produce sono utili per studiare il problema in esame), che 
  • meta-strumentale: aiuta il soggetto ed il gruppo ad allenarsi nel costruire modelli operativi, compiere analisi e a sistematizzare ipotesi, pensiero logico e conoscenza.

Esempio applicativo sulla costruzione in aula di un Diagramma di Causa-Effetto

Come evidenzia Trevisani (2000), 

Il primo e più importante contributo delle discipline scientifiche è il variables reasoning, un’impostazione di fondo del ragionamento scientifico ed un insegnamento prezioso per l’impresa: trattare i problemi in termini di variabili e loro relazioni. Un problema quale “calano le vendite negli USA” andrà quindi studiato in termini di “cosa determina il calo delle vendite” e “cosa determina un successo di vendita in quel paese”. Dovremo quindi costruire un vasto raggio di ipotesi e spiegazioni possibili. Ad esempio: ipotesi 1 – “le vendite calano perché il paese è in fase di recessione “; ipotesi 2 – “le vendite calano perché sono entrati nuovi concorrenti”, ipotesi 3 – “le vendite calano perché la nostra rete commerciale si è indebolita”, ecc… 

Queste ipotesi andranno verificate empiricamente (partendo da dati reali), sino ad identificare la causa vera o l’insieme di cause su cui agire. 

Lo stesso procedimento proposto si applica a livello di prodotto, su problemi quali “la linea B genera troppi pezzi difettosi”, su problemi organizzativi e di servizio (es: analisi del motivo per cui “i nostri tempi medi di consegna sono superiori alla concorrenza”) e su temi sociali (es: attacco alla disoccupazione giovanile partendo dai fattori che la generano, senza pensare a interventi palliativi che creano finta occupazione).

Ragionare per ipotesi, sviluppare alternative e sottoporle a verifica significa adottare un metodo scientifico. Molte aziende invece operano su problemi di tale natura con azioni impulsive tipo “cambiamo il direttore commerciale”, “raddoppiamo la pubblicità” o “cambiamo fornitore” magari operando proprio sulle leve sbagliate. 

Essere competitivi significa quindi – innanzitutto – saper analizzare i fattori critici del successo prima di agire. Significa costruire una base di conoscenza aziendale sui rapporti di causa-effetto in cui l’impresa è coinvolta, prima solo abbozzata, poi migliorata e verificata in parte, poi sempre più completa ed esaustiva, fino a possedere il quadro esatto della situazione. Tanto più ampia la base di conoscenza aziendale, tanto meglio l’impresa saprà quali leve toccare e che risultato ne emergerà.

Il tentativo di ragionare per variabili e loro relazioni costituisce innanzi tutto uno strumento pratico. Con un effetto ulteriore: in seguito al suo utilizzo ripetuto esso si trasforma in una impostazione culturale, filosofia guida positiva di una cultura aziendale analitica e basata sul core-problem solving. La cultura del variables-reasoning vale come linea guida per ogni analisi dei problemi aziendali, in ogni settore e reparto.

Nell’approccio variables-reasoning si applica un procedimento (prima di tutto mentale, poi eventualmente supportato da supporti scritti o software) in cui il problema o il goal viene analizzato in termini di variabili che lo possono generare, di rapporti causa-effetto e fattori generativi. Si costruisce quindi un quadro di ipotesi da cui partire, visualizzabile tramite un diagramma. Le singole ipotesi devono essere verificate e costituiscono la base per lo sviluppo di strategie[1].

È possibile creare DCE innestati, nei quali – con la tecnica della zoomata – si approfondiscano ulteriormente le cause o ipotesi identificate. In un contesto di formazione manageriale, il livello di profondità dell’analisi dipende dal tempo a disposizione, dall’esperienza specifica dei partecipanti e dal clima di cooperazione del gruppo.

I metodi per costruire il DCE sono stati divisi da Trevisani (2000) nel metodo ALM in “negativi”, “positivi” e “a livelli”[2].

  • I DCE negativi sono applicati a problemi e utilizzano formulazioni verbali negative, es: “Demotivazione, impreparazione e obiettivi confusi determinano calo di vendita”.
  • I DCE positivi si applicano a goals e utilizzano formulazioni positive, es: “La qualità della formazione dipende dalla capacità di realizzare un’analisi efficace dei fabbisogni formativi, predisporre moduli veramente professionalizzanti, utilizzare docenti e metodi didattici coinvolgenti”. 
  • I DCE “a livelli” presentano le relazioni in termini di variabili pure, es: “Il livello qualitativo del prodotto dipende dal livello di manutenzione dei macchinari e dal grado di purezza delle materie prime”. 

Sempre ricorrendo all’opera di Trevisani (2000), presentiamo in seguito alcuni esempi.

Nel primo DCE viene applicata una zoomata su un fattore considerato primario (la capacità di vendita personale). Come si noterà nello schema, alcuni fattori sono ricorrenti, in altre parole possono comparire collegati a più caselle. Ogni casella consiste infatti in un’analisi a sé, e pertanto è possibile che un fattore pervasivo come la capacità di comunicazione entri sia nella qualità dell’assistenza che nella capacità di vendita e nella capacità di gestire il personale.

Il diagramma primario sostiene ad esempio che il successo di vendita sia collegato alle capacità personali (competenze, comunicazione, affidabilità, proiezione di un’immagine professionale), ad un accurato studio dei destinatari (segmentazione strategica per individuare il target, segmentazione operativa per individuare i prospects e i decisori, analisi dei bisogni dei destinatari finalizzata a capire come creare valore), alla qualità del prodotto e suo rapporto qualità/prezzo, alla qualità dell’assistenza e garanzie, e alla capacità di promozione. Ciascuno di questi fattori a sua volta dipende da altre cause. Ad esempio, la qualità della promozione dipende dalla qualità del supporto media, dalle capacità di vendita personale e dai supporti cartacei alla vendita diretta o sul punto di vendita (display, cataloghi, listini, company profile, ecc).

La zoomata riguarda uno di questi aspetti: la capacità di vendita personale. Secondo lo schema, la capacità di vendita viene collegata alla conoscenza del prodotto, alla formazione ricevuta, alla motivazione e impegno del venditore, e ai supporti logistici. Ciascuno di questi elementi dipende a sua volta da altri. Ad esempio, la conoscenza del prodotto è correlata al settore di provenienza (difficilmente un meccanico potrà occuparsi di alta moda femminile) e all’impegno nello studio del prodotto (che invece chiunque può mettere in atto); la qualità formativa dipende dall’attivazione di specifici percorsi sulla tecnica di vendita, dall’utilizzo di metodi formativi efficaci quali role-playing e project-works, e dall’affiancamento con persone esperte e tutor; la motivazione ed impegno dipendono dai benefit e dalla remunerazione (materiale e immateriale: denaro e gratificazioni, possibilità di crescita), e dalla cultura aziendale che deve produrre obiettivi chiari e sistemi di controllo efficaci. In ultimo, i supporti logistici, la cui qualità dipende dai supporti materiali (auto, PC, agende, telefoni) e dalla organizzazione ottimale dei tempi e percorsi di visita (time management di vendita).

Come si può notare, al crescere del livello di dettaglio emergono sempre più da vicino le leve strategiche da toccare, i passi concreti e operativi che l’azienda competitiva può attivare.

In altre parole, il variables reasoning permette di arrivare alla radice di cosa determina i risultati, e costruire il cruscotto aziendale, la sala controllo dell’impresa, il quadro comandi della competitività.

Dopo aver costruito il proprio diagramma di relazioni sull’obiettivo, l’impresa saprà dove destinare le risorse, e come impostare un sistema competitivo permanente (il vero risultato ricercato dal metodo ALM).

Lo stesso procedimento, applicato allo studio di un problema (es: il calo di vendite) produce ulteriore ricchezza di analisi, evidenziando gli errori da evitare.

Prima di agire su un calo di vendita, dovremmo infatti essere ben sicuri se il calo sia da attribuire a noi (alla nostra organizzazione e capacità interna) o all’andamento del mercato (domanda globale in calo o recessione) o ad entrambi. In un caso, ricercheremo rimedi interni, nell’altro caso dovremo aprire un’altra serie di domande: il calo è momentaneo o permanente, riguarda noi o tutti, quanto durerà, quali ne sono i motivi, ci conviene rimanere in questo settore, che alternative pensare.

Agire su un problema quale un calo di vendita avendone identificato i fattori causali, produce un risultato non immediato, ma duraturo (ad esempio, agendo sulla qualificazione della rete di vendita e sulle modalità motivazionali profonde). Un rimedio immediato può essere raggiunto tramite interventi superficiali (es: promozioni sui prezzi), con l’effetto di non agire sulle cause profonde, e soprattutto di abituare il cliente ad un prezzo inferiore, il che rende difficile poi ritornare ai livelli di prezzo normali. Gli interventi non-causali, quindi, realizzano spesso più un danno che un risultato (al di là delle apparenze del momento).

In conclusione, sia che si intenda agire con metodi “one way” quali la lezione, sia che si intenda favorire una scoperta autonoma dei Saperi, è necessario introdurre una fase di azione sui Saperi all’interno di un progetto più complesso, dove questi saperi vengano testati nel saper fare con progetti applicativi, e messi alla prova nel saper essere sottostante.

Quanto più ci allontaniamo dalla nostra zona di comfort tanto più possiamo fallire ma allo stesso tempo imparare cose che altrimenti non avremmo imparato mai.

Impariamo dal fallimento, non dal successo.

Bram Stoker

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Metodi per far accadere una scoperta autonoma dei saperi.

Ogni volta che sconfiggiamo l’ignoranza latente su chi siamo, cosa siamo e cosa possiamo diventare, questa diventa una vittoria da celebrare. E sappiamo anche che una vittoria profonda richiede un lavoro in profondità. Nel Deep Coaching non ci accontentiamo di incrementi puramente conoscitivi ma vogliamo che il cambiamento interessi il corpo, la mente, lo spirito, e l’essenza vitale delle persone stesse. So che si tratta di sfide difficili ma questo non ci farà demordere.

Più difficile è la vittoria, più grande è la felicità nel vincere.

Pelé

Su numerosi aspetti di teoria manageriale e comportamenti aziendali, è possibile applicare una formazione attiva in cui i clienti siano partecipi della costruzione della conoscenza stessa.

Il DCE (Diagramma di Causa-Effetto) è uno degli strumenti più utili in questa fase. Scopo del DCE è quello di costruire teorie e sviluppare modelli operativi sulla base di conoscenze già possedute dai partecipanti.

Il DCE si basa sul dato di fatto che molto di quanto il formatore desidera trattare è già conosciuto dal discente, molto sapere è già accumulato all’interno delle esperienze dell’individuo e – per sommatoria – del gruppo in formazione.

Il DCE aiuta a sistematizzare questa conoscenza e a tradurla in modelli applicabili e operativi per l’azione manageriale, è utile sia per analizzare situazioni esistenti che per prevedere andamenti futuri. Come sottolinea von Wright[1],

la costruzione delle teorie serve a due scopi principali: prevedere l’accadimento di eventi o risultati di esperimenti, e così anticipare nuovi fatti, e spiegare, o rendere intelligibili, i fatti che sono stati già registrati.

Il DCE serve per entrambi gli obiettivi: per analizzare relazioni di causa-ed-effetto (costruire un quadro di ipotesi relativo a tutti i fattori che possono generare un risultato o causare un problema), ma anche per allenarsi al variables-reasoning (il “ragionare per variabili”) prima di prendere decisioni (agire per rovesciare il comportamento del “management da bar”).

Il valore del DCE è quindi sia 

  • Strumentale: (le analisi che produce sono utili per studiare il problema in esame), che 
  • meta-strumentale: aiuta il soggetto ed il gruppo ad allenarsi nel costruire modelli operativi, compiere analisi e a sistematizzare ipotesi, pensiero logico e conoscenza.

Esempio applicativo sulla costruzione in aula di un Diagramma di Causa-Effetto

Come evidenzia Trevisani (2000), 

Il primo e più importante contributo delle discipline scientifiche è il variables reasoning, un’impostazione di fondo del ragionamento scientifico ed un insegnamento prezioso per l’impresa: trattare i problemi in termini di variabili e loro relazioni. Un problema quale “calano le vendite negli USA” andrà quindi studiato in termini di “cosa determina il calo delle vendite” e “cosa determina un successo di vendita in quel paese”. Dovremo quindi costruire un vasto raggio di ipotesi e spiegazioni possibili. Ad esempio: ipotesi 1 – “le vendite calano perché il paese è in fase di recessione “; ipotesi 2 – “le vendite calano perché sono entrati nuovi concorrenti”, ipotesi 3 – “le vendite calano perché la nostra rete commerciale si è indebolita”, ecc… 

Queste ipotesi andranno verificate empiricamente (partendo da dati reali), sino ad identificare la causa vera o l’insieme di cause su cui agire. 

Lo stesso procedimento proposto si applica a livello di prodotto, su problemi quali “la linea B genera troppi pezzi difettosi”, su problemi organizzativi e di servizio (es: analisi del motivo per cui “i nostri tempi medi di consegna sono superiori alla concorrenza”) e su temi sociali (es: attacco alla disoccupazione giovanile partendo dai fattori che la generano, senza pensare a interventi palliativi che creano finta occupazione).

Ragionare per ipotesi, sviluppare alternative e sottoporle a verifica significa adottare un metodo scientifico. Molte aziende invece operano su problemi di tale natura con azioni impulsive tipo “cambiamo il direttore commerciale”, “raddoppiamo la pubblicità” o “cambiamo fornitore” magari operando proprio sulle leve sbagliate. 

Essere competitivi significa quindi – innanzitutto – saper analizzare i fattori critici del successo prima di agire. Significa costruire una base di conoscenza aziendale sui rapporti di causa-effetto in cui l’impresa è coinvolta, prima solo abbozzata, poi migliorata e verificata in parte, poi sempre più completa ed esaustiva, fino a possedere il quadro esatto della situazione. Tanto più ampia la base di conoscenza aziendale, tanto meglio l’impresa saprà quali leve toccare e che risultato ne emergerà.

Il tentativo di ragionare per variabili e loro relazioni costituisce innanzi tutto uno strumento pratico. Con un effetto ulteriore: in seguito al suo utilizzo ripetuto esso si trasforma in una impostazione culturale, filosofia guida positiva di una cultura aziendale analitica e basata sul core-problem solving. La cultura del variables-reasoning vale come linea guida per ogni analisi dei problemi aziendali, in ogni settore e reparto.

Nell’approccio variables-reasoning si applica un procedimento (prima di tutto mentale, poi eventualmente supportato da supporti scritti o software) in cui il problema o il goal viene analizzato in termini di variabili che lo possono generare, di rapporti causa-effetto e fattori generativi. Si costruisce quindi un quadro di ipotesi da cui partire, visualizzabile tramite un diagramma. Le singole ipotesi devono essere verificate e costituiscono la base per lo sviluppo di strategie[1].

È possibile creare DCE innestati, nei quali – con la tecnica della zoomata – si approfondiscano ulteriormente le cause o ipotesi identificate. In un contesto di formazione manageriale, il livello di profondità dell’analisi dipende dal tempo a disposizione, dall’esperienza specifica dei partecipanti e dal clima di cooperazione del gruppo.

I metodi per costruire il DCE sono stati divisi da Trevisani (2000) nel metodo ALM in “negativi”, “positivi” e “a livelli”[2].

  • I DCE negativi sono applicati a problemi e utilizzano formulazioni verbali negative, es: “Demotivazione, impreparazione e obiettivi confusi determinano calo di vendita”.
  • I DCE positivi si applicano a goals e utilizzano formulazioni positive, es: “La qualità della formazione dipende dalla capacità di realizzare un’analisi efficace dei fabbisogni formativi, predisporre moduli veramente professionalizzanti, utilizzare docenti e metodi didattici coinvolgenti”. 
  • I DCE “a livelli” presentano le relazioni in termini di variabili pure, es: “Il livello qualitativo del prodotto dipende dal livello di manutenzione dei macchinari e dal grado di purezza delle materie prime”. 

Sempre ricorrendo all’opera di Trevisani (2000), presentiamo in seguito alcuni esempi.

Nel primo DCE viene applicata una zoomata su un fattore considerato primario (la capacità di vendita personale). Come si noterà nello schema, alcuni fattori sono ricorrenti, in altre parole possono comparire collegati a più caselle. Ogni casella consiste infatti in un’analisi a sé, e pertanto è possibile che un fattore pervasivo come la capacità di comunicazione entri sia nella qualità dell’assistenza che nella capacità di vendita e nella capacità di gestire il personale.

Il diagramma primario sostiene ad esempio che il successo di vendita sia collegato alle capacità personali (competenze, comunicazione, affidabilità, proiezione di un’immagine professionale), ad un accurato studio dei destinatari (segmentazione strategica per individuare il target, segmentazione operativa per individuare i prospects e i decisori, analisi dei bisogni dei destinatari finalizzata a capire come creare valore), alla qualità del prodotto e suo rapporto qualità/prezzo, alla qualità dell’assistenza e garanzie, e alla capacità di promozione. Ciascuno di questi fattori a sua volta dipende da altre cause. Ad esempio, la qualità della promozione dipende dalla qualità del supporto media, dalle capacità di vendita personale e dai supporti cartacei alla vendita diretta o sul punto di vendita (display, cataloghi, listini, company profile, ecc).

La zoomata riguarda uno di questi aspetti: la capacità di vendita personale. Secondo lo schema, la capacità di vendita viene collegata alla conoscenza del prodotto, alla formazione ricevuta, alla motivazione e impegno del venditore, e ai supporti logistici. Ciascuno di questi elementi dipende a sua volta da altri. Ad esempio, la conoscenza del prodotto è correlata al settore di provenienza (difficilmente un meccanico potrà occuparsi di alta moda femminile) e all’impegno nello studio del prodotto (che invece chiunque può mettere in atto); la qualità formativa dipende dall’attivazione di specifici percorsi sulla tecnica di vendita, dall’utilizzo di metodi formativi efficaci quali role-playing e project-works, e dall’affiancamento con persone esperte e tutor; la motivazione ed impegno dipendono dai benefit e dalla remunerazione (materiale e immateriale: denaro e gratificazioni, possibilità di crescita), e dalla cultura aziendale che deve produrre obiettivi chiari e sistemi di controllo efficaci. In ultimo, i supporti logistici, la cui qualità dipende dai supporti materiali (auto, PC, agende, telefoni) e dalla organizzazione ottimale dei tempi e percorsi di visita (time management di vendita).

Come si può notare, al crescere del livello di dettaglio emergono sempre più da vicino le leve strategiche da toccare, i passi concreti e operativi che l’azienda competitiva può attivare.

In altre parole, il variables reasoning permette di arrivare alla radice di cosa determina i risultati, e costruire il cruscotto aziendale, la sala controllo dell’impresa, il quadro comandi della competitività.

Dopo aver costruito il proprio diagramma di relazioni sull’obiettivo, l’impresa saprà dove destinare le risorse, e come impostare un sistema competitivo permanente (il vero risultato ricercato dal metodo ALM).

Lo stesso procedimento, applicato allo studio di un problema (es: il calo di vendite) produce ulteriore ricchezza di analisi, evidenziando gli errori da evitare.

Prima di agire su un calo di vendita, dovremmo infatti essere ben sicuri se il calo sia da attribuire a noi (alla nostra organizzazione e capacità interna) o all’andamento del mercato (domanda globale in calo o recessione) o ad entrambi. In un caso, ricercheremo rimedi interni, nell’altro caso dovremo aprire un’altra serie di domande: il calo è momentaneo o permanente, riguarda noi o tutti, quanto durerà, quali ne sono i motivi, ci conviene rimanere in questo settore, che alternative pensare.

Agire su un problema quale un calo di vendita avendone identificato i fattori causali, produce un risultato non immediato, ma duraturo (ad esempio, agendo sulla qualificazione della rete di vendita e sulle modalità motivazionali profonde). Un rimedio immediato può essere raggiunto tramite interventi superficiali (es: promozioni sui prezzi), con l’effetto di non agire sulle cause profonde, e soprattutto di abituare il cliente ad un prezzo inferiore, il che rende difficile poi ritornare ai livelli di prezzo normali. Gli interventi non-causali, quindi, realizzano spesso più un danno che un risultato (al di là delle apparenze del momento).

In conclusione, sia che si intenda agire con metodi “one way” quali la lezione, sia che si intenda favorire una scoperta autonoma dei Saperi, è necessario introdurre una fase di azione sui Saperi all’interno di un progetto più complesso, dove questi saperi vengano testati nel saper fare con progetti applicativi, e messi alla prova nel saper essere sottostante.

Quanto più ci allontaniamo dalla nostra zona di comfort tanto più possiamo fallire ma allo stesso tempo imparare cose che altrimenti non avremmo imparato mai.

Impariamo dal fallimento, non dal successo.

Bram Stoker
In evidenza lettura di cambiamento dell'intervento e analisi del grado di profondità di coaching tramite il modello 3s(2)

La crescita personale come un viaggio per ritrovarsi. 

La motivazione di un coaching in profondità (Deep Coaching)

La crescita personale assomiglia ad un viaggio compiuto per ritrovarsi, o per scoprire chi siamo davvero, o cosa potremmo essere. Questo vale anche per la crescita professionale. Alla base di tutto vi è la volontà di accedere a nuovi livelli di vita, o a nuovi livelli professionali, e persino a nuovi stati emotivi. Per farlo con successo, tuttavia, serve un modello che ci guidi. 

Il modello Deep Coaching, derivazione del Modello HPM (Human Potential Modeling) sviluppato per la crescita del potenziale umano, ha proprio questo scopo.

In particolare, un metodo di crescita personale o professionale deve rispondere ad alcune domande di base: 

  1. quali fattori primari prendere in considerazione per liberare il potenziale e di conseguenza le performance? 
  2. come si può attivare una buona formazione esperienziale e un coaching in profondità (Deep Coaching) per stimolare la crescita delle energie personali, delle competenze, della progettualità, sino ai valori e alla spiritualità? 

Al centro di tutto questo ragionamento c’è la convinzione profonda che l’essere umano possa prendere in mano larga parte delle redini del suo destino. 

Per farlo, occorre fare alcuni cambiamenti radicali, proposti nel Metodo HPM (Human Potential Modeling), che qui trattiamo. Dobbiamo imparare a fare cose che non facevamo prima, come il lavoro bioenergetico sul corpo, il training mentale, e tante altre aree previste nel metodo, e farle diventare abitudini sane e positive per la nostra crescita personale.

Sembra sempre impossibile, finché non viene fatto.

(Nelson Mandela)

Se fai tuo questo pensiero, scoprirai che puoi avventurarti in nuove strade della vita, crescere, migliorare e cambiare il tuo modo di pensare, il tuo corpo, il tuo stato mentale e la tua comunicazione e i rapporti con gli altri. Puoi arricchire emotivamente la tua vita. Puoi aiutare gli altri a migliorare a loro volta. Puoi lasciare un segno del tuo passaggio. Puoi dare un contributo alla Civiltà Umana.

Il metodo si interessa sia di chi opera nelle performance di élite (testato in 30 anni di lavoro sul campo nel top management, sport agonistici, ma anche progetti aziendali di alta rilevanza strategica) che della vita quotidiana, e delle azioni di tutti i giorni.

È convinzione diffusa che le performance siano sforzi destinati ad un fine. Vero, ma proviamo per un attimo ad invertire il punto di vista, ed osservare le performance umane come un “termometro”, un indicatore del grado di libertà e di auto-espressione raggiunto. 

Questo ci permette di trovare un fine molto più nobile che non siano prestazioni aride e fini a sé stesse: l’elevazione verso livelli di energie, competenze e cause superiori, sia in senso materiale che spirituale.

Il tema dominante di tutto il nostro pensiero va ricentrato, e presto. 

Dobbiamo spostarlo dal baratro di banalità in cui il pensiero comune, la televisione, i media commerciali, le letture stupide, e la cultura mediana cercano continuamente di spingerci per non farci pensare. 

Dobbiamo cambiare i parametri che usiamo per valutare noi stessi e gli altri. Il conto corrente o la bellezza esteriore sono solo indicatori apparenti, e spesso fuorvianti, di chi sia veramente una persona e di quale sia il suo vero valore.

Dobbiamo liberarci dal cancro mentale che tu sia solo Genetica e tu non abbia alcuna possibilità di influire su ciò che sei, a cosa guardi, verso dove sei diretto, e quindi sul tuo futuro. Dobbiamo iniziare a praticare concretamente la crescita personale e non solo a desiderarla.

Qualunque cosa tu possa fare, 

qualunque sogno tu possa sognare, comincia. 

L’audacia reca in sé genialità, magia e forza. 

Comincia ora.

(Johan Wolfgang von Goethe)

La tua dote genetica può aver deciso la tua altezza, ma sono nelle tue mani il tuo potenziamento muscolare, la tua flessibilità articolare, o il tuo peso, e persino la tua rapidità di ragionamento, o la liberazione dall’ansia mentale e dallo stress inutile, o da un’immagine di sé improduttiva e dannosa. Sono tutti fattori allenabili e lavorabili con un buon programma di coaching e di training, fatti in profondità. 

Nel Deep Coaching dobbiamo mettere al centro la sacralità dell’essere umano e il forte bisogno di non sprecare nemmeno una vita, nemmeno un giorno, nemmeno un minuto, in qualcosa che non sia legato ad una visione positiva, di emancipazione e di crescita.

E, per crescere o reindirizzare il pensiero, le buone intenzioni non sono sufficienti. Serve un metodo che aiuti a canalizzare questo sforzo positivo. 

Qualsiasi sia la tua età o condizione, non è mai troppo tardi per iniziare o intensificare un lavoro su te stesso orientato alla tua crescita personale o professionale.

Non si è mai troppo vecchi per fissare un nuovo obiettivo o per sognare un nuovo sogno.

(C.S. Lewis)

Le sei aree primarie del metodo HPM sono divise in tre macro-categorie: energie, competenze, direzionalità, e queste tre categorie a loro volta sono divise in due aree: soft e hard. Questo dà vita a sei celle di lavoro, sei aree di attività sulla crescita personale che valgono sia per le prestazioni fisiche che per quelle mentali o intellettuali. Ed inoltre, si prestano ad un’analisi delle performance sia individuali che di gruppo. 

Vorrei esprimere un concentrato di senso in una frase su cui discutere:

Le performance sono un grande banco di prova per la condizione umana…

ci parlano dell’istinto umano a crescere, esplorare nuovi orizzonti, ricercare… capire chi sei… e cosa puoi arrivare a fare.

Daniele Trevisani

Ogni gara o competizione mette in moto i principi delle performance, ogni sfida aziendale, sportiva, o personale, ogni progetto, ci costringe a fare i conti con il nostro stato di preparazione e le nostre energie. Ogni volta che sentiamo la volontà di cambiare e migliorarci, la chiamata verso una vita diversa si fa strada in noi e dobbiamo imparare ad ascoltarla e non a silenziarla. Mai. 

Le buone intenzioni valgono poco se non diventano un progetto. E francamente, non è decisivo che un progetto abbia successo o fallisca, perché anche da ogni fallimento possiamo imparare. Possiamo evolvere solo se proviamo e ci avventuriamo in strade nuove.

Il viaggio verso la crescita delle energie umane, fisiche e mentali, è un percorso di esplorazione che deve diventare progetto, un progetto di Deep Coaching.

Sbagli il 100% dei colpi che non spari.

(Wayne Gretzky)

Ognuno può progredire partendo da qualsiasi stato o condizione. 

Una persona depressa o ansiosa può iniziare a vedere una luce, e questo è già progresso, tanto quanto il miglioramento di un record mondiale in qualsiasi sport e disciplina. 

Una persona immatura può maturare… chi si sente inadeguato in un lavoro può cambiare, ri-orientarsi, formarsi.

Un’impresa in crisi può generare nuove idee o trovare nuove strade, così come un’impresa vincente può fare da traino a tante startup e diventare fonte di utilità sociale per tutti.

Qualsiasi sia la condizione di partenza, occorre credere in sé stessi, nella possibilità di crescere, di migliorare, di fare dei salti in avanti.

Il progresso personale e professionale avviene solo se ci lavoriamo sopra concretamente. 

Il miracolo della vita è talmente grande che va celebrato e non sprecato, e come sottolinea Einstein:

Ci sono solo due modi di vivere la propria vita: 

uno come se niente fosse un miracolo; 

l’altro come se tutto fosse un miracolo.

Albert Einstein (citato in Michael J. Gelb, Il Genio che c’è in te).

Ogni volta che alleni il tuo corpo o la tua mente, rendi omaggio al miracolo della vita che ha reso possibile che in quel giorno tu ti sia potuto allenare e formare, mentre altri più sfortunati, non possono.

Ogni giorno che incontri un pensiero buono, ringrazia per l’incontro e fallo tuo.

Le potenzialità della relazione

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi dello spazio progettuale

Un’adeguata esplorazione del cliente permette di capirne le esigenze, ma anche di prefigurare il costo della relazione (fisico e relazionale) e il potenziale della relazione.

L’esame dei due livelli di identità (chi siamo noi, chi sono loro) permette di trovare uno spazio di condivisione entro il quale costruire qualche forma di progetto.

Le potenzialità della relazione possono essere capite solo in seguito ad una diagnosi accurata, non devono essere considerate in modo affrettato.

Una diagnosi può far emergere importanti “pepite informative”, dati e informazioni sulle quali basare l’analisi. Queste “pepite informative” sono racchiuse un giacimento informativo al quale non è facile arrivare, e la cui esplorazione richiede professionalità e training. 

La consapevolezza di “chi siamo” e di “chi è di fronte a me” (con chi tratto), permette di analizzare lo spazio progettuale, le potenzialità del lavoro che possiamo avviare assieme. 

I tratti principali della potenzialità del rapporto

  • Le opportunità del rapporto

Alcune domande chiave per aprire un ragionamento sulle opportunità della relazione: Che opzioni posso offrire ora, e che spazi si possono aprire in futuro? Quanto sono concreti i progetti avviabili? È un rapporto che sembra concluso in un singolo progetto o vi sono spazi di continuità? Che reti relazionali positive si aprono se il progetto va a buon fine (ingresso in network, nuove conoscenze, sviluppo di immagine)?

  • Rischi del rapporto

Vi sono rischi nel lavorare con questo soggetto? Rischiamo di perdere risorse, energie, rischiamo di non essere pagati o non adeguatamente, rischiamo di perdere know-how senza avere nulla in cambio? Sono in grado di apprezzarci? Quante e quali forze esterne possono impedirmi di raggiungere i risultati?

  • Limiti e confini attuali

Dove è bene fermarsi, dato l’attuale stato di maturazione del rapporto? Faccio bene a espormi molto e subito? È bene testare il comportamento di questo soggetto nella realtà (es: se rischio un mancato pagamento del primo intervento, devo evitare di farne altri a rischio: devo mettere alla prova la serietà del cliente prima di perdere valore o erogarlo gratis).

  • Limiti e confini massimi

Dove potrà mai arrivare questo rapporto, anche se il cliente applica il massimo della sua buona volontà e le circostanze sono favorevoli? Dove si arresterà per forza lo spazio di questa collaborazione? Fino a che punto vale la pena investire energie e risorse su questo cliente?

  • Piano di cooperazione attuale

Cosa risulta saggio fare ora, alla luce delle informazioni disponibili, sui potenziali attuali e futuri? Quali progetti possiamo avviare subito?

  • Piano di cooperazione futuro

Posso avviare un sistema di contatto abbastanza frequente, tale da farmi restare vicino al cliente? Riesco ad acquisire anche le future opportunità? Tengo gli spazi aperti per farlo? Mi accontento di chiudere un progetto o cerco di conquistare la relazione e quindi anche il valore futuro che quel cliente potrà esprimere?

  • Profondità di relazione

Riesco a raggiungere livelli di co-makership (costruire progetti congiunti), di reale partnership? Si, no, solo in parte? Su quali piani possiamo collaborare in profondità? Quali sono gli ostacoli a collaborare in profondità?

  • Progettazione congiunta

Su quali progetti posso stimolare un “lavorare assieme”? È possibile avviare una ricerca e sviluppo congiunta? Possiamo fare qualcosa di più che non sia vendere e comprare, ma costruire assieme un progetto che porti entrambi ad entrare dove da soli non arriveremo? Possiamo coinvolgere il cliente nel progettare soluzioni, affinché egli le senta più “sue”?

  • Terza cultura

La prima cultura è quella del cliente. La seconda cultura è quella del venditore o altro interlocutore. Dall’incontro tra le due realtà può nascere qualcosa di nuovo, una “terza cultura” che apre spazi nuovi di mercato per entrambi. Una terza cultura è il risultato del lavoro di più menti che scambiano tra loro informazioni, valori, linguaggi, e arricchisce il rapporto. Quando tra due aziende nasce una cultura comune, frutto del lavoro svolto assieme, il vantaggio competitivo della relazione è sicuramente maggiore, rispetto a quando si svolgono semplici forniture su richiesta.

  • Presidio comunicativo e Total Quality Communication

Chi presidia le comunicazioni con quel cliente, sia quotidiane, di servizi, tecniche o istituzionali? Abbiamo la consapevolezza di chi ai vari livelli manda messaggi a quel cliente (anche sul piano tecnico, di servizio o customer care, o amministrativo, ad esempio, e non solo commerciale)? Chi controlla la qualità dei messaggi che inviamo? Chi tratta con quel cliente è all’altezza di farlo? Esiste un piano per dare continuità ai messaggi? Abbiamo un piano per dare spessore alla relazione mantenendo “caldo” il contatto, e presidiare il cliente?

Nel compiere questo tipo di analisi dobbiamo sempre considerare che:

  • nessuna relazione è perfetta;
  • il nostro scopo non è amarci, ma lavorare assieme;
  • dobbiamo apprendere a convivere con culture aziendali diverse dalle nostre;
  • siamo qui per lavorare e non per regalare il nostro sapere o i nostri prodotti;
  • dietro ad ogni uscita (tempo, denaro, attenzione, energie umane) deve esservi qualche forma di entrata, monetaria o immateriale;
  • i bilanci non si fanno solo con il denaro;
  • il valore di apprendimento che una relazione offre può farci produrre salti di qualità fondamentali per la nostra stessa azienda.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Come si fa a riuscire ad allenare la mente rilassando il corpo, a creare stati di coscienza positivi dove sperimentare sensorialmente le proprie risorse e il proprio valore?

Articolo a cura di: Cristina Turconi – Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Trainer in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

“Se le porte della percezione fossero sgombrate, ogni cosa apparirebbe com’è, infinita”. 

William Blake

Questa la domanda che mi ha sempre frullato nella testa tutte le volte che sentivo parlare genericamente di “Training Mentale” fintanto che ne ho fatto esperienza attraverso la Programmazione Neuro-Associativa™.

Il lavoro della Programmazione Neuro-Associativa™ consiste nell’ancorare uno stato della mente di rilassamento o attivazione di emozioni positive ad uno stato esterno, un compito o task che vogliamo svolgere nello stato migliore possibile. 

Spesso durante un percorso di Coaching il cliente matura una consapevolezza che poi fatica a portare in azione, questo perché la nostra mente razionale vaglia in continuazione le nostre capacità fisiche, psicologiche, creative, culturali e professionali, così come i valori della cultura nella quale siamo inseriti, e li mette a confronto con i nostri desideri e aspirazioni, filtrando cosa sia possibile e cosa no.

Nelle esercitazioni con la Programmazione Neuro-Associativa™, la voce del Coach guida il cliente in uno stato alfagenico di completo rilassamento, portandolo a visualizzare la situazione target, a viverla a livello subconscio attenuando i filtri della mente razionale, lasciandola quindi più libera di esplorare i concetti connessi alle consapevolezze maturate nella sessione di coaching e facilitandone il viaggio verso il cambiamento desiderato.

Quello che accade è un meccanismo unico: è uno spalancarsi alla capacità di “sentire”, di percepire i singoli passi del percorso di cambiamento cogliendone le sensazioni positive; sentendone i profumi, i colori, il tatto, i suoni e le sensazioni interne che possono produrre, fino a toccare quella sorgente di consapevolezza, di libertà vera e propria che dona un senso più profondo a ogni singola azione.

Di seguito le mie annotazioni “a caldo” dopo l’esercizio:

Cosa ho sperimentato:

Sensazione di respirare liberamente. Stato di calma, imperturbabilità, assenza di turbamento interiore nel corpo. La mente come ferma, senza agitazione, non ci sono pensieri, sono solo il mio respiro. Sensazione di immersività in una dimensione che non ha dimensione. Visualizzazione molto vivida, colori accesi, precisione di alcuni dettagli. Osservo con pacatezza senza fretta. Non so se cammino o mi muovo lentamente o io sono ferma e il paesaggio intorno a me muta. Il posto è meraviglioso, quasi magico, sembra la foresta di avatar. Ci sono fiori, natura, colori, alberi, animali non presenti in natura e animali tipo lucciole. Sento il profumo dei fiori, riesco a percepirne la struttura vellutata anche se non li tocco. 

Continuo a camminare e tutto diventa sempre più bello. Toglie il fiato. 

La voce guida mi accarezza lungo tutto il percorso, come il sussurro del vento. Mi sento sicura, protetta e guidata ma è qualcosa che nasce da dentro di me, non dipende dalla voce. La voce forse è solo un eco antico di ciò che già so. È un’essenza più profonda che parla da dentro di me molto più vicina a chi sono davvero. La sacralità di questa passeggiata mi commuove. Sento il calore dentro al corpo. Sento il mio campo del cuore allargarsi e abbracciare tutta la rigogliosità e abbondanza della natura che mi circonda e mi avvolge. Non so se sia beatitudine, non riesco a dare un nome alla sensazione che provo, penso che tentare di darle un nome ne sminuirebbe l’intensità e il valore perché non si può descrivere ma solo provare. Le lacrime mi inumidiscono gli occhi. Sento un profondo grazie salirmi da dentro. Corde profonde sono toccate, e risuonano dentro di me. Non c’è più ansia, turbolenza o agitazione. Non c’è bisogno di muoversi da nessuna parte semplicemente basta vagabondare tra un fiore e l’altro e coglierne ciò che arriva gustandolo totalmente nel qui e ora. Sono qui e faccio per il piacere di fare. Non ci sono risultati da perseguire, non ci sono aspettative, è il cammino che mi chiama e si manifesta davanti a me ad ogni passo e io posso solo fare ciò che è giusto, perché voglio, perché posso farlo, perché sperimento facendo e divento sperimentando. Non c’è più un essere, un fare, un avere, c’è solo uno stare. I dettagli mi colpiscono gli occhi. Sono quasi lucenti.

C’è solo bellezza, perfezione, conoscenza e amore qui. E io mi immergo. Riesco a respirarci dentro. Non voglio uscire. E poi la voce mi dice che posso portare benessere, pace e amore nel fare coaching, nel chiamare i clienti, nello stare in aula. Mi colpisce. Non ci sono più attese o aspettative ma solo un diventare attraverso l’esprimere chi voglio essere mentre faccio quello che amo fare. È una prospettiva che non ho considerato mai prima. È un concetto che scardina. Sono richiamata ad uscire. Faccio fatica a staccarmi e a ritornare nello stato vigile. 

Riflessioni emerse:

C’è un modo diverso di vivere la mia professionalità, il mio lavoro, la mia quotidianità più orientata allo studio, alla ricerca o a un fare libero dall’ansia, dalle aspettative mie e di come gli altri vorrebbero che io fossi. Non è un vivere con pazienza ma un fare e uno stare mentalmente libero da ogni sforzo. Perché in quel fare c’è il gustare la perfezione e la possibilità di sperimentare chi sono. Solo operando da quello stato della magica foresta di Avatar mi sento a casa e posso suonare la mia musica. Li posso assaporare e gustare il senso di questo mio passaggio terreno, dove i sensi diventano solo un canale, un mezzo, un amplificatore necessario a “fare esperienza” di tutta quella bellezza e perfezione. Liberando me stessa e operando da quello stato, non posso che lasciare una buona scia.

I fattori che hanno facilitato la sperimentazione profonda in questa esercitazione sono stati:

– il rapporto di fiducia instauratosi con il Coach (Dr. Daniele Trevisani)

– un luogo accogliente e sicuro

– la posizione comoda, sdraiata con la testa rialzata e gli occhi chiusi

– la musica rilassante di sottofondo

– l’uso sapiente della voce e l’utilizzo delle pause che mi hanno permesso di visualizzare e elaborare con i miei tempi 

– il sentire il conduttore sempre presente e in sintonia durante tutta la durata della sperimentazione.

Essere riuscita a “vivere” nell’esercitazione quel flusso emotivo positivo che dona piacere alle singole azioni è stata una spinta motivazionale potente che sta facendo la differenza nel mio agire quotidiano.

Per approfondimenti vedi:

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Trainer in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

Sito Cristina Turconi – Sviluppo del Potenziale Individuale, dei Team e delle Imprese
Cristina Turconi – Blog WordPress
Cristina Turconi – Linkedin
Cristina Turconi – Facebook

Parole chiave dell’articolo sulla Programmazione Neuro-Associativa™

  • Analisi
  • Ansia
  • Attivazione
  • Benessere
  • Coaching
  • Coaching attivo
  • Coaching esperienziale
  • Coaching in profondità
  • Coaching scientifico
  • Comportamenti
  • Comportamento
  • Comunicare
  • Comunicazione
  • Comunicazione interculturale
  • Counseling
  • Creatività
  • Deep Coaching
  • Efficacia
  • Efficienza
  • Formazione
  • Formazione attiva
  • Formazione aziendale
  • Formazione aziendale attiva
  • Formazione manageriale
  • Frequenze cerebrali
  • Mappa di Fisher
  • Modello delle quattro distanze della comunicazione
  • Negoziare
  • Performance
  • Potenziale umano
  • Programmazione mentale
  • Programmazione neuro associativa
  • Programmazione neuroassociativa
  • Psicoterapia
  • Rilassamento
  • Scienza delle performance
  • Stati alterati di coscienza
  • Stati della mente
  • Stati di coscienza
  • Stati di coscienza alterati
  • Stato della mente
  • Stato di coscienza
  • Valori
  • Valori intangibili

Il potere dell’ascolto: saper “vedere le carte” dell’altro

poker gioco

Il potere dell’ascolto, lo diremo subito, è soprattutto la capacità di vedere, vedere le carte dell’altro per poter giocare meglio e non al buio.

  • Anteprima editoriale esclusiva per i lettori del blog, realizzata dall’autore del libro, articolo

    condivisibile, si prega di citare sempre la fonte.

  • © Daniele Trevisani, Volume “L’ascolto Attivo: Metodi e Strumenti per l’ascolto attivo ed empatico”. Anteprima editoriale, Franco Angeli editore Milano, 2019.
  • Per ricevere altri articoli appena escono, iscriversi al blog http://studiotrevisani.it sulla destra in alto, inserire la mail e fare clic su “segui il blog”.

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L’ascolto, quello vero, quello che “apre a metà” la comunicazione e il comunicatore per guardarci dentro, è un’arma potentissima. Smaschera bugie e falsità, impedisce alla nebbia mentale di entrare nelle conversazioni, perchè la sa riconoscere presto.

È così facile raccontare bugie a chi non sa ascoltare bene, a chi si lascia trasportare da retorica e status, e non entra nel profondo del messaggio per coglierne la verità.

Gli esseri umani sono stati creati con un difetto, credono a ciò che sentono, non alla realtà!

Significa che le menti più deboli si lasciano facilmente persuadere da argomenti appassionanti, anche quando si tratta di cattive idee.

Mr. Zimit (James D’Arcy)

dal film “After the Dark” di John Huddles

L’ascolto attento è arma anti-persuasiva per eccellenza, così come l’ascolto distratto o succube di status e ruoli, è invece via maestra per farti entrare nella testa messaggi subliminali che ti persuadono senza che te ne accorgi.

L’ascolto subentra nelle fasi di negoziazione con clienti interni ed esterni, con stakeholders (i vari portatori d’interessi che ruotano attorno alla vita di una persona o di un’azienda), si manifesta in famiglia, tra coppie, tra genitori e figli, tra amici, con persone della stessa cultura e di culture diverse.

Il potere dell’ascolto è pari a quello che si ha nel giocare a carte potendo vedere le carte dell’avversario. Leggiamo le persone meglio, leggiamo le situazioni meglio. Vediamo meglio.

Può essere usato per curare (Rogers, nella Terapia Centrata sul Cliente, ne fa lo strumento centrale per la guarigione psicoterapeutica) o per persuadere (studio di un target audience ed empatia strategica), per progettare, come nel project management, per comprendere a fondo i desideri e obiettivi di una persona e “cosa ha in testa”, e per prendere più saggiamente decisioni di gruppo senza che nessuno si senta escluso o non ascoltato.

Anche decisioni difficili e in condizioni di crisi, si avvalgono del potere dell’ascolto.

Perchè l’ascolto, tranne che in un interrogatorio, è uno stato d’animo di spaziosità per le parole altrui, per le emozioni altrui, per le storie altrui.

La rabbia e l’intolleranza sono i nemici della corretta comprensione.

 (Mahatma Gandhi)

Di sicuro, possiamo affermare che le persone che sanno ascoltare hanno un vantaggio competitivo sugli altri. Sanno cogliere più informazioni, sanno percepire di più, sanno entrare in connessione neurale con altre menti, possono avere l’opzione di ascoltare o no, a loro piacimento, mentre chi non sa ascoltare ha una sola opzione: non ascoltare, o ascoltare malissimo.

“Coloro che non ascoltano niente cadranno per qualsiasi cosa.”

Malcolm X

In ogni conversazione, avviene una fase di ascolto, esiste sempre uno “strato” di noi che ascolta, che ne siamo consapevoli o meno, ed esiste una vasta serie di negoziazioni implicite.

Chi parla per primo? Chi ascolta chi? Per quanto? Con che scopi? Scopi impliciti? Scopi espliciti? E quali percezioni avrà l’altro? Che formati ha questa conversazione, al di la delle singole parole? È una “supplica”, è una “autocelebrazione”, è un “attacco al mondo crudele”?

Cosa capiamo di una persona quando l’abbiamo ascoltata bene? Capiamo come la pensa e il suo stato d’animo, sino ad arrivare alla sua personalità. E capiti quelli, abbiamo colto il 90% della persona.

  • Anteprima editoriale esclusiva per i lettori del blog, realizzata dall’autore del libro, articolo condivisibile, si prega di citare sempre la fonte.
  • © Daniele Trevisani, Volume “L’ascolto Attivo: Metodi e Strumenti per l’ascolto attivo ed empatico”. Anteprima editoriale, Franco Angeli editore Milano, 2019.
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