Deep coaching. Scoprire gli universi Motivazionali: analisi psicologia dei bisogni di coaching e cambiamento.

Il progetto di cambiamento come incontro tra volontà.

Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso.

Fëdor Dostoevskij

Un progetto di coaching, di formazione attiva o cambiamento nelle risorse umane e nelle risorse personali, non è mai frutto della volontà di una singola persona. Come minimo, è necessario che un cliente percepisca uno stato di bisogno e si incontri con un soggetto (formatore o change agent, counselor o consulente, coach) dotato di desiderio o volontà di dedicarsi alla formazione.

La formazione nasce quindi come:

  • risultato di una domanda spontanea espressa dal cliente, il quale attiva una ricerca di formatori, società di consulenza, trainer interni, o altri erogatori possibili; e/o:
  • risultato di una proposizione commerciale di vendita o motivazionale attuata dal lato dell’offerta (domanda stimolata)attraverso iniziative di vendita, seminari, workshop, o altre forme di stimolazione della domanda.

Diffidenza e accettazione verso il coach.

Troviamo forti elementi di verità nell’asserzione storica di Reich, secondo cui:

contrariamente a quanto sostengono molti colleghi, devo continuare ad affermare che ogni paziente, senza eccezioni, inizia l’analisi con un atteggiamento più o meno diffidente o critico, che normalmente rimane nascosto.

Questo porta Reich a sostenere che sia opportuno 

Evitare interpretazioni più profonde dell’inconscio fino a quando esiste la barriera della cortesia convenzionale tra paziente e analista.[2]

Lo stesso tipo di precauzioni e considerazioni valgono per un approccio di coaching. La sensibilità del coach deve portarlo alla comprensione di quando il cliente stia o meno facendo emergere materiale “vero” anziché informazioni deviate dalla necessità di impressions management positivo.

Tipologie del bisogno di formazione: addestramento, formazione, ricentraggio.

Se osserviamo il fronte della domanda di cambiamento e formazione, coaching e consulenza in azienda o tra i privati, dobbiamo prima di tutto distinguere tre grandi “strati” di bisogno: 

(1) addestramento, 

(2) formazione,

(3) ricentraggio. 

Questa classificazione è sicuramente riduttiva rispetto alla realtà composta da una enorme varietà di sfumature, ma serve per chiarire alcuni punti di fondo:

Lo strato inferiore della piramide non mette in discussione alcun principio o credenza di fondo: il cambiamento ricercato è solo superficiale, il ruolo del formatore è prettamente addestrativo e psicomotorio, basato su istruzioni (come si fa per…).

Lo strato centrale (formazione classica) contiene spesso una ricerca latente di “addestramento”, ma comprende dosi (più o meno cospicue a seconda del trainer e del cliente) di azioni di riflessione e di cambiamento negli atteggiamenti, di ricerca di una nuova visione del proprio ruolo o del proprio futuro e del modo di fare. 

Raramente, tuttavia, la revisione del proprio ruolo o del modo di pensare è l’obiettivo centrale della formazione classica, e il focus è più sul cambiare il modo di agire e il risultato di breve periodo. Questo produce una vera e propria ansia da risultato, tale che se x euro vengono spesi in un corso, si cerca di capire se nel trimestre successivo questi x euro siano già rientrati. Questa logica di ricerca del ROI (Return on Investment) a breve termine nella formazione aziendale è deleteria perché confonde l’educazione manageriale con l’acquisto di una attrezzatura quale una stampante o una fotocopiatrice.

Nello strato superiore – il ricentraggio – abbiamo invece le attività di maggiore introspezione, di ricerca di un modo diverso di rapportarsi al lavoro, o alla vita, alla visione dei propri obiettivi. Comprende azioni di analisi e costruzione di un orizzonte nuovo, diverso, la messa in discussione del proprio operato, delle proprie credenze, degli stereotipi che si utilizzano. La Neotropia (ricerca di nuovi poli di attenzione) è il nucleo centrale e fondamentale di questo stadio, e può arrivare persino a toccare il senso profondo della vita, e come la missione personale o manageriale vi possano portare contributo.

Chi, nel cammino della vita ha acceso anche soltanto una fiaccola nell’ora buia di qualcuno, non è vissuto invano

Madre Teresa di Calcutta

La Regia di Cambiamento e la Regia Formativa devono tenere separati gli obiettivi delle tre fasi. Deve essere sempre chiaro al regista se è in corso una fase addestrativa, una fase formativa o una fase di ricentraggio.

Parlando di setting formativo o consulenziale, anche la sede fisica deve essere scelta in funzione del tipo di intervento, il più possibile in azienda per le azioni di addestramento puro, il più possibile lontano dall’azienda, lontano da rumori psicologici, interruzioni e problemi quotidiani per le azioni di ricentraggio, mentre per la formazione si possono prevedere mix di entrambi.

Una Regia consapevole deve essere sempre in contatto con l’obiettivo latente, e fare in modo che ogni elemento della regia sia orchestrato attorno all’obiettivo.

Tenendo a mente questa distinzione, esaminiamo alcune delle principali tipologie di domanda formativa:

I bisogni di formazione espressi dalle imprese sono ampiamente collegati ad un’esigenza di maggiore produttività o sviluppo organizzativo.

Come evidenziano Quaglino e Carrozzi:

 “L’attività di formazione è in larga misura promossa da organizzazioni (industrie, banche, enti pubblici) che vedono in essa uno strumento per migliorare la loro efficienza.

Da questa visione nasce un primo grande fraintendimento, la ricerca di una formazione come addestramento, quando solo un ricentraggio forte può produrre vera ed incisiva evoluzione, anche delle prestazioni.

Si assiste in ogni parte del globo ad una grande confusione sul fronte della domanda rispetto agli obiettivi di fondo ricercati. Ad esempio, il cliente pensa alla formazione sulla comunicazione con un desiderio latente di ricentraggio, ma ricerca offerte prettamente addestrative con un programma standardizzato. 

Le dissonanze della domanda sono numerosissime e costituiscono una delle principali cause di insuccesso o insoddisfazione sia per chi acquista che per chi vende formazione e consulenza.

Una problematica ulteriore riguarda l’intervento su singoli o su gruppi. Osserviamo il diagramma seguente:

Budget finanziario e budget mentale per il coaching

Sia per i privati cittadini, che per le aziende e anche nelle organizzazioni pubbliche, il denominatore comune è che rende possibile un evento formativo attivo o un coaching program è la presenza di un budget finanziario associato ad un budget mentale per un certo tipo di intervento. 

Proponiamo questa citazione da Trevisani (2001) per un approfondimento minimo sui budget mentali:

Nel campo delle vendite business-to-business, i budget aziendali di spesa ed investimento riflettono i budget mentali del management (titolari o altri decisori e influenzatori). 

Capire i budget mentali di un imprenditore o acquirente è assolutamente rilevante per il venditore di beni innovativi e servizi evoluti all’impresa. Non ci sarà da stupirsi di fronte ad un diniego, se nei budget mentali degli investimenti del titolare d’azienda o del buyer non vi è una percentuale di spesa destinata all’innovazione o alla sperimentazione, così come non si potrà impostare una trattativa altro che sul prezzo senza sapere sino a che punto un prodotto/servizio ricade nei budget mentali previsti dall’acquirente potenziale.

Ad esempio, nel campo della formazione, la domanda “Avete definito un budget annuale per la formazione?” è un buon punto di partenza per inquadrare i sistemi di budget setting dell’interlocutore nella vendita dei servizi formativi all’impresa. Se la risposta è sì, questo sarà un indicatore della presenza di un budget mentale aperto rispetto a tale voce di spesa. Se la risposta è no, si aprirà un altro percorso, diverso, di “vendita della categoria di prodotto”, nel quale lo scopo primario sarà sensibilizzare il soggetto verso la tipologia di soluzione, i suoi risultati (preventivi, anticipatori, omeostatici) ancor prima che verso la specifica offerta formativa.

Si assiste tuttavia anche a casi di formazione obbligatoria che viene creata da leggi specifiche. Alcuni casi classici sono legati alla formazione obbligatoria sulla sicurezza, o alla riqualificazione professionale obbligatoria dei medici o altre professioni.

Il budget finanziario rende possibile il finanziamento del progetto, il budget mentale rende possibile l’apertura verso la percezione del bisogno, la percezione di una urgenza e necessità di attivarsi.

Tra le attività essenziali da apprendere in un profilo registico, vi è la capacità di acuire la sensibilità del cliente verso l’esigenza di destinare budget per il progetto di cambiamento, per darvi spessore e continuità nel tempo.Si tratta veramente di una capacità specifica, denominabile vendita consulenziale pedagogica, perché deve riuscire da un lato a persuadere il cliente, ma dall’altro a svolgere un’azione etica nello stretto interesse del cliente stesso, per rimuovere le false credenze prevalenti sul fatto che interventi brevi e poco incisivi siano sufficienti a produrre risultati desiderati.

La triplice compnente della wishlist formativa4

Deep coaching. Scoprire gli universi Motivazionali: analisi psicologia dei bisogni di coaching e cambiamento

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano

Il progetto di cambiamento come incontro tra volontà.

Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso.

Fëdor Dostoevskij

Un progetto di coaching, di formazione attiva o cambiamento nelle risorse umane e nelle risorse personali, non è mai frutto della volontà di una singola persona. Come minimo, è necessario che un cliente percepisca uno stato di bisogno e si incontri con un soggetto (formatore o change agent, counselor o consulente, coach) dotato di desiderio o volontà di dedicarsi alla formazione.

La formazione nasce quindi come:

  • risultato di una domanda spontanea espressa dal cliente, il quale attiva una ricerca di formatori, società di consulenza, trainer interni, o altri erogatori possibili; e/o:
  • risultato di una proposizione commerciale di vendita o motivazionale attuata dal lato dell’offerta (domanda stimolata)attraverso iniziative di vendita, seminari, workshop, o altre forme di stimolazione della domanda.

Diffidenza e accettazione verso il coach.

Troviamo forti elementi di verità nell’asserzione storica di Reich, secondo cui:

contrariamente a quanto sostengono molti colleghi, devo continuare ad affermare che ogni paziente, senza eccezioni, inizia l’analisi con un atteggiamento più o meno diffidente o critico, che normalmente rimane nascosto.

Questo porta Reich a sostenere che sia opportuno 

Evitare interpretazioni più profonde dell’inconscio fino a quando esiste la barriera della cortesia convenzionale tra paziente e analista.[2]

Lo stesso tipo di precauzioni e considerazioni valgono per un approccio di coaching. La sensibilità del coach deve portarlo alla comprensione di quando il cliente stia o meno facendo emergere materiale “vero” anziché informazioni deviate dalla necessità di impressions management positivo.

Tipologie del bisogno di formazione: addestramento, formazione, ricentraggio.

Se osserviamo il fronte della domanda di cambiamento e formazione, coaching e consulenza in azienda o tra i privati, dobbiamo prima di tutto distinguere tre grandi “strati” di bisogno: 

(1) addestramento, 

(2) formazione,

(3) ricentraggio. 

Questa classificazione è sicuramente riduttiva rispetto alla realtà composta da una enorme varietà di sfumature, ma serve per chiarire alcuni punti di fondo:

Lo strato inferiore della piramide non mette in discussione alcun principio o credenza di fondo: il cambiamento ricercato è solo superficiale, il ruolo del formatore è prettamente addestrativo e psicomotorio, basato su istruzioni (come si fa per…).

Lo strato centrale (formazione classica) contiene spesso una ricerca latente di “addestramento”, ma comprende dosi (più o meno cospicue a seconda del trainer e del cliente) di azioni di riflessione e di cambiamento negli atteggiamenti, di ricerca di una nuova visione del proprio ruolo o del proprio futuro e del modo di fare. 

Raramente, tuttavia, la revisione del proprio ruolo o del modo di pensare è l’obiettivo centrale della formazione classica, e il focus è più sul cambiare il modo di agire e il risultato di breve periodo. Questo produce una vera e propria ansia da risultato, tale che se x euro vengono spesi in un corso, si cerca di capire se nel trimestre successivo questi x euro siano già rientrati. Questa logica di ricerca del ROI (Return on Investment) a breve termine nella formazione aziendale è deleteria perché confonde l’educazione manageriale con l’acquisto di una attrezzatura quale una stampante o una fotocopiatrice.

Nello strato superiore – il ricentraggio – abbiamo invece le attività di maggiore introspezione, di ricerca di un modo diverso di rapportarsi al lavoro, o alla vita, alla visione dei propri obiettivi. Comprende azioni di analisi e costruzione di un orizzonte nuovo, diverso, la messa in discussione del proprio operato, delle proprie credenze, degli stereotipi che si utilizzano. La Neotropia (ricerca di nuovi poli di attenzione) è il nucleo centrale e fondamentale di questo stadio, e può arrivare persino a toccare il senso profondo della vita, e come la missione personale o manageriale vi possano portare contributo.

Chi, nel cammino della vita ha acceso anche soltanto una fiaccola nell’ora buia di qualcuno, non è vissuto invano

Madre Teresa di Calcutta

La Regia di Cambiamento e la Regia Formativa devono tenere separati gli obiettivi delle tre fasi. Deve essere sempre chiaro al regista se è in corso una fase addestrativa, una fase formativa o una fase di ricentraggio.

Parlando di setting formativo o consulenziale, anche la sede fisica deve essere scelta in funzione del tipo di intervento, il più possibile in azienda per le azioni di addestramento puro, il più possibile lontano dall’azienda, lontano da rumori psicologici, interruzioni e problemi quotidiani per le azioni di ricentraggio, mentre per la formazione si possono prevedere mix di entrambi.

Una Regia consapevole deve essere sempre in contatto con l’obiettivo latente, e fare in modo che ogni elemento della regia sia orchestrato attorno all’obiettivo.

Tenendo a mente questa distinzione, esaminiamo alcune delle principali tipologie di domanda formativa:

I bisogni di formazione espressi dalle imprese sono ampiamente collegati ad un’esigenza di maggiore produttività o sviluppo organizzativo.

Come evidenziano Quaglino e Carrozzi:

 “L’attività di formazione è in larga misura promossa da organizzazioni (industrie, banche, enti pubblici) che vedono in essa uno strumento per migliorare la loro efficienza.

Da questa visione nasce un primo grande fraintendimento, la ricerca di una formazione come addestramento, quando solo un ricentraggio forte può produrre vera ed incisiva evoluzione, anche delle prestazioni.

Si assiste in ogni parte del globo ad una grande confusione sul fronte della domanda rispetto agli obiettivi di fondo ricercati. Ad esempio, il cliente pensa alla formazione sulla comunicazione con un desiderio latente di ricentraggio, ma ricerca offerte prettamente addestrative con un programma standardizzato. 

Le dissonanze della domanda sono numerosissime e costituiscono una delle principali cause di insuccesso o insoddisfazione sia per chi acquista che per chi vende formazione e consulenza.

Una problematica ulteriore riguarda l’intervento su singoli o su gruppi. Osserviamo il diagramma seguente:

Budget finanziario e budget mentale per il coaching

Sia per i privati cittadini, che per le aziende e anche nelle organizzazioni pubbliche, il denominatore comune è che rende possibile un evento formativo attivo o un coaching program è la presenza di un budget finanziario associato ad un budget mentale per un certo tipo di intervento. 

Proponiamo questa citazione da Trevisani (2001) per un approfondimento minimo sui budget mentali:

Nel campo delle vendite business-to-business, i budget aziendali di spesa ed investimento riflettono i budget mentali del management (titolari o altri decisori e influenzatori). 

Capire i budget mentali di un imprenditore o acquirente è assolutamente rilevante per il venditore di beni innovativi e servizi evoluti all’impresa. Non ci sarà da stupirsi di fronte ad un diniego, se nei budget mentali degli investimenti del titolare d’azienda o del buyer non vi è una percentuale di spesa destinata all’innovazione o alla sperimentazione, così come non si potrà impostare una trattativa altro che sul prezzo senza sapere sino a che punto un prodotto/servizio ricade nei budget mentali previsti dall’acquirente potenziale.

Ad esempio, nel campo della formazione, la domanda “Avete definito un budget annuale per la formazione?” è un buon punto di partenza per inquadrare i sistemi di budget setting dell’interlocutore nella vendita dei servizi formativi all’impresa. Se la risposta è sì, questo sarà un indicatore della presenza di un budget mentale aperto rispetto a tale voce di spesa. Se la risposta è no, si aprirà un altro percorso, diverso, di “vendita della categoria di prodotto”, nel quale lo scopo primario sarà sensibilizzare il soggetto verso la tipologia di soluzione, i suoi risultati (preventivi, anticipatori, omeostatici) ancor prima che verso la specifica offerta formativa.

Si assiste tuttavia anche a casi di formazione obbligatoria che viene creata da leggi specifiche. Alcuni casi classici sono legati alla formazione obbligatoria sulla sicurezza, o alla riqualificazione professionale obbligatoria dei medici o altre professioni.

Il budget finanziario rende possibile il finanziamento del progetto, il budget mentale rende possibile l’apertura verso la percezione del bisogno, la percezione di una urgenza e necessità di attivarsi.

Tra le attività essenziali da apprendere in un profilo registico, vi è la capacità di acuire la sensibilità del cliente verso l’esigenza di destinare budget per il progetto di cambiamento, per darvi spessore e continuità nel tempo.Si tratta veramente di una capacità specifica, denominabile vendita consulenziale pedagogica, perché deve riuscire da un lato a persuadere il cliente, ma dall’altro a svolgere un’azione etica nello stretto interesse del cliente stesso, per rimuovere le false credenze prevalenti sul fatto che interventi brevi e poco incisivi siano sufficienti a produrre risultati desiderati.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

Temi e Keywords dell’articolo:

Effetti di Sequenza e di contrasto, overlap tematico e overlap strumentale

Effetti di Sequenza e di contrasto, overlap tematico e overlap strumentale

Nei percorsi di formazione e coaching, ogni azione o intervento ha impatto su quella successiva.

Il cambiamento positivo viene favorito da:

  • progettazione delle sequenze di stimolazioni, riscaldamento progressivo dei partecipanti o dell’organizzazione verso una sempre maggiore partecipatività;
  • stimolazione di contrasto (azioni dalla natura molto diversificata);
  • progettazione delle sequenze di contrasto, facilitare la comparazione tra diversi stati di un processo o diversi modi di essere.

Un processo di cambiamento diviso in fasi deve avere collegamenti tra fasi. Devono essere progettati

  • I momenti di overlap tematico e shift tematico (sovrapposizione, cambio di tema, passaggio del testimone, sinergia tra diverse aree di cambiamento);
  • I momenti di overlap strumentale e shift strumentale (il momento del cambio di tecnica, l’introduzione di nuove tecniche, il raccordo tra tecniche).

Il cambiamento viene rallentato o ostacolato da:

  • sequenze di eventi mal progettate;
  • azioni non precedute da fasi di riscaldamento o dalla creazione di un clima di accettazione o fiducia (coaching positivo e collaborativo);
  • necessità di ricorso eccessivo a repair e patti psicologici, per l’insorgere di meccanismi di anti-leadership e boicottaggio del processo;
  • variazioni di stato che sfuggono alla percezione, tali per cui nessun cambiamento appare evidente, anche se in realtà si è prodotto (cambiamento subliminale, sotto la soglia di percezione).
  • difficoltà nel produrre shift tematico, passaggio di tema o di target;
  • scarso grado di overlap tematico (passaggio di tecnica brusco, senza collegamenti comprensibili, ove non vi sia un patto psicologico forte a priori);
  • difficoltà nel produrre shift strumentale, cambio di strumento (abitudine verso una tecnica, trovarsi bene con la tecnica in uso e non volerla cambiare, timore del nuovo);
  • scarso grado di shift strumentale (azioni mono-tecnica o mono-canale).

Dobbiamo ricordare che non sempre le azioni consulenziali o di coaching e formazione devono essere collaborative, ma esistono anche approcci consulenziali o di coaching assertivi, soprattutto verso chi mette in campo atteggiamenti anti-leadership e di boicottaggio del processo.

La crescita assertiva di un team può infatti utilizzare strumenti che non prevedono ricorso a repair, addolcimenti o fasi di riscaldamento, ma puntano dirette all’azione, all’inclusione o esclusione (espulsione) di un soggetto dal team, se egli non risponde a requisiti indispensabili per farvi parte.

Chi pratica Deep Coaching, in altre parole, deve far salire tutti sulla propria carrozza e averli con sé in ogni fase del processo. Non sono ammessi personalismi e vizi che possono danneggiare l’intero impianto di coaching.

Dal Training Deep Coaching. Confini ed evoluzioni della formazione classica e della nuova formazione esperienziale.

La nuova formazione aziendale, e non solo, è quella esperienziale, quella che “fa succedere delle cose”, che fa accadere stimoli formativi, che lavora sulla prova ed errore, sul feedback e sull’assimilazione profonda e mai solo mnemonica.

È questo l’unico vero modo per aiutare una persona o un’impresa a evolvere.

Cambiare, evolvere. Ogni persona, ogni istituzione o azienda, fronteggia giorno dopo giorno questa necessità. L’evoluzione è il principio motore della vita: dalla capacità di evolvere dipende l’esistenza di un organismo. 

“L’evoluzione può essere necessaria soltanto a colui che si renda conto della sua situazione e della possibilità di cambiarla, e si renda conto che ha dei poteri che non usa e delle ricchezze che non vede. Ed è nel senso della presa di possesso di questi poteri e di queste ricchezze che l’evoluzione è possibile.”

George Ivanovitch Gurdjieff

Chiunque abbia tentato di evolvere, sa che il cambiamento non si “comanda”, per ottenere il cambiamento servono almeno (1) una volontà interiore di cambiare o anche solo di evolvere (senza la quale nulla accade), (2) una visione, un indirizzo, aspirazione, ideale o meta da raggiungere, più o meno strutturati, (3) la costruzione di un percorso di cambiamento, (4) strumenti efficaci e leadership per supportare le fasi, le sfide del percorso e le sue trappole o insidie. 

Il cambiamento può avvenire secondo un percorso autonomo o con l’aiuto di un professionista (change agent: counselor, terapeuta, consulente, formatore, docente o trainer, Coach, e altre accezioni varie della relazione d’aiuto). 

Il ruolo dei Coach, consulenti e trainer, è quello di fornire un supporto, una Regia che canalizzi le energie del cambiamentoverso le direzioni più produttive. Che sia una Regia Formativa, una Regia di Coaching, o una Regia del Cambiamento Organizzativo, si tratta sempre di avere un punto di osservazione “alto” dal quale guidare il processo e le sue singole fasi e la capacità di immergersi là dove si compie l’azione, là “in basso”.

In caso contrario avremmo dei comandanti di navi che non hanno mai visitato la sala motori, e questo non è bene.

Un consulente o trainer può fornire aiuto nella fase di:

  1. focalizzazione degli obiettivi, 
  2. costruzione del percorso, 
  3. individuazione di esercizi di formazione attiva esperienziale, e
  4. nella ricerca degli strumenti (tools) che accompagnano il cambiamento.

Il meta-obiettivo è creare delle condizioni favorevoli all’apprendimento e al cambiamento, ponendosi come facilitatore di questi processi.

Il cambiamento autonomo senza supporto esterno genera spesso fasi di stallo, scoraggiamento, difficoltà, o – ancora peggio – la riduzione della pulsione al cambiamento, non appena il raggiungimento di alcuni micro-obiettivi illude il soggetto che il mutamento evolutivo sia avvenuto.

Il cambiamento non riguarda solo le persone, l’azienda, lo sport o il benessere. Aziende e istituzioni richiedono sempre più spesso ai propri collaboratori e manager una forte competenza in comunicazione, problem solving, gestione di processi complessi e capacità adattive.

Tale dinamica ha prodotto la nascita di nuove figure professionali (i formatori in comunicazione, i formatori manageriali, i counselor manageriali o personali, i coach, e altre), che devono possedere un know-how specifico di elevato spessore sul fronte dei contenuti (competenze tematiche) e una capacità elevata nell’abilità di trasmetterli (competenze trasmissive) o di produrre il cambiamento (competenze incisive). 

Il problema è che essi agiscono spesso senza applicare alcuna forma di Regia. Fanno ciò che piace più al cliente o ciò che farà prendere il voto migliore nella “pagellina del docente” di fine corso. Il rischio? Non fare le cose giuste, quelle che magari non gradite, ma sono efficaci e sono di fatto la medicina migliore. Bisogna quindi sapersi destreggiare tra consapevolezza del bisogno di produrre effetto – il bisogno di risultati concreti – e il puro piacere o divertimento fine a sé stesso. Nella formazione outdoor ed esperienziale, questi quadri sono spesso ancora più confusi e gli obiettivi si confondono continuamente. 

La chiarezza del “perché facciamo questo” – di qualsiasi tecnica formativa o di coaching si tratti – va portata sempre in primo piano, e comunicata a tutti: clienti, collaboratori, membri dello staff, con grande chiarezza, sensibilità e assertività.

Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi.

Galileo Galilei

I consulenti di cambiamento possono (1) erogare direttamente i propri servizi di coachingcommunication training, personal training, o management training, ma anche (2) agire come “consulenti del processo formativo” in ogni area della trasmissione dei saperi, del saper essere, del saper fare, del cambiamento personale e della crescita personale e delle risorse umane. 

In questo caso, la loro funzione diventa veramente quella di “Consulente di Processo”, che aiuta la persona o l’organizzazione nel passare da un processo precedente ad uno migliore e più funzionale. Edgar Schein, autore e ricercatore, ha scritto su questa funzione di “Consulente di Processo” un intero libro[1] che invito assolutamente ad approfondire perché densissimo di ragionamenti e strumenti utili.

Il principio di base di una consulenza di processo è quello di portare una persona o un sistema (azienda, organizzazione), da X ad Y, da uno stato attuale ad uno desiderato, e di farlo con estrema chiarezza.

Se non riusciamo a spiegare ed esporre chiaramente il perché una certa azione di coaching o di formazione sia necessaria, e a cosa punta, probabilmente non l’abbiamo capita nemmeno noi.

Nei casi in cui mi preoccupano questioni di stile e di esposizione cerco di seguire una massima semplice: se non lo posso esporre con chiarezza non lo posso nemmeno comprendere io stesso.

John Searle

Anche nel contesto aziendale, lo scenario che viviamo ci spinge sempre più a volere i formatori attivi, praticanti di una didattica attiva – sempre meno come 

“docenti classici” e sempre più come “Change Agents” (agenti di cambiamento) – cui si chiede la capacità di “far crescere le persone” in maniera dinamica, mettendo in campo esercitazioni, un agire che vuole incidere davvero su atteggiamenti e comportamenti, e non solo trasferire contenuti verso un ricevente passivo. 

Questa necessità di cambiamento nella visione del ruolo è presente anche per l’“insegnante”, ma ancora maggiormente nei ruoli di formatore, nei ruoli di terapeuta, Coach, Counselor, trainer, allenatore sportivo, nel coaching manageriale, nello sviluppo personale, e nella direzione delle risorse umane.

Il processo formativo o di cambiamento si compone di diverse fasi, di cui il “training” rappresenta la parte centrale. Prima del “corso” o “intervento”, a monte e a valle, sono necessarie altre azioni, quali (1) la diagnosi degli obiettivi e fabbisogni formativi, (2) la progettazione formativa, ma ancora meglio una Regia Formativa, (3) l’acquisizione delle risorse e realizzazione, sino a (4) la valutazione dei risultati, sia tangibili che intangibili, di apprendimento ma anche di effetti sul modo di lavorare sino all’impatto sul cliente finale. 

La formazione richiede una professionalità specifica, che va oltre la competenza nella materia trattata e richiede conoscenza delle dinamiche di comunicazione e apprendimento attivo (coinvolgimento, partecipazione, active training).

In altre parole, essere dei Formatori con la F maiuscola, o dei Coach con la C maiuscola, significa avere a cuore il risultato e saper predisporre un impianto complesso di risorse – formatori – coach – sedi didattiche – fattori sia tangibili che intangibili, e competenze per raggiungere quel risultato.

Questo non è diverso da quanto faccia un regista con un film, con la differenza che spesso nella Formazione e Coaching, il Regista entra in campo in prima persona, o almeno deve avere avuto migliaia di ore di “field experience” e training specifici per poter anche solo pronunciare le parole Formazione Esperienziale e Coaching Esperienziale. 

“L’evoluzione è molto più importante che il vivere.”

ERNST JÙNGER

Le domande esposte sono solo un campione di moltissimi altri temi aperti, che troviamo in ogni progetto di cambiamento attuato tramite la formazione attiva, il coaching e il mentoring. La loro numerosità è spessore evidenzia come il cambiamento sia un processo realmente complesso. Numerose altre domande sono quindi utili e andrebbero aggiunte al modello, ma il compito di realizzarle è contestuale, dipende quindi dal singolo progetto, dal singolo caso, dalla singola situazione, che va trattata appunto in modo individuale e personalizzato.

In evidenza Il Setting formativo come facilitatore o rallentatore

Il Setting formativo come facilitatore o rallentatore

Il setting formativo o di intervento deve essere assolutamente differenziato a seconda delle tre tipologie principali di formazione: addestramento, formazione, ricentraggio. Il setting deve essere:

  • il più possibile in sede operativa reale, per le azioni di addestramento;
  • per il ricentraggio e il Deep Coaching, il più possibile lontano (lontananza fisica, ambientale o metaforica) dalla sede operativa reale (lontano non in senso prettamente fisico, ma relazionalmente, e quindi mai in azienda), al fine di creare il grado di distacco necessario per riflettere con maggiore serenità e introspezione, evitare disturbi e rumore esterno (rumore psicologico) derivante dal contatto con i problemi quotidiani;
  • con mix di diversi formati per le azioni formative classiche.

Il setting deve permettere alla regia di coaching o di formazione di concretizzarsi, deve aiutarla, e non ostacolarla o farvi da freno. Si tratta di cambiare mentalità e pensare che si può apprendere anche oltre l’aula. Questo è un cambiamento decisivo di visione e di atteggiamento, che ci porta ad apprezzare sempre di più le “training experiences” come l’outdoor training, i ritiri esperienziali, e tanti altri metodi attivi.

Le aule didattiche universitarie sono un esempio di setting non orientato al saper essere ma ispirato alla ricezione ad una via: risentono dell’impostazione e imprinting del paradigma one-way (flusso unico da docente ad allievo), il setting generale vede un podio o cattedra, file di seggiole spesso inamovibili e spesso inadatte a creare gruppi di lavoro d’aula o qualsiasi altra forma di active training.

Le sale riunioni aziendali si prestano ad interruzioni di ogni tipo, da parte dell’ambiente interno aziendale e di colleghi che entrano ed escono disturbando, non offrendo la possibilità di isolamento indispensabile per concentrarsi. La presenza di porte vetrate, ove accade, è assolutamente deleteria, così come la presenza di persone che ascoltano quanto accade in aula.La durata della nostra vita in questo mondo è breve. Per questo, ogni occasione di apprendimento va colta e sperimentata in prima persona e in modo esperienziale, perché la vita vola e ogni istante della nostra esistenza può diventare gioia di apprendimento.

Non rinunciare ad un sogno solo perché pensi che ti ci vorrà troppo tempo per realizzarlo. Il tempo passerà comunque.

Earl Nightingale

Il setting formativo e la scelta della location per fare active training nella formazione aziendale.

Il setting formativo, il luogo ove avviene la formazione, risente anche in azienda dell’imprinting universitario, poiché la maggior parte dei manager è transitata per l’università, ne ha assorbito numerosi modelli, e anche il setting della formazione risente per osmosi di ciò a cui si è stati esposti da studenti

Il setting formativo in azienda deve essere il più possibile flessibile, adatto a far lavorare gruppi, con seggiole spostabili a piacimento. 

Dobbiamo convertire e rivoluzionare le sale didattiche per farle diventare laboratori di apprendimento e non luoghi ove spegnersi.

Idealmente, l’intero luogo di svolgimento di un training deve diventare setting. Negli active training da noi realizzati invitiamo spesso le aziende a spostarsi presso location dotate di piscine (per poter svolgere esercizi di bioenergetica manageriale in acqua), tavoli esterni, divani, luoghi di incontro esterni all’aula, idealmente anche giardini, parchi, luoghi naturali.

La varietà di strumenti offerti dal setting (anche strumenti non convenzionali, quali la possibilità di fare un percorso nella natura, camminando e conversando su un tema assegnato dal docente) facilita la gamma di opzioni di intervento. Distinguiamo in una breve rassegna:

  • Coaching prossimale one-to-one o “shadowing”: il coach affianca il cliente direttamente presso la scrivania, lo segue nelle riunioni o in meeting, in negoziazioni, e sul lavoro. Utile per raccogliere dati primari, osservazioni, dati di realtà.
  • Coaching esterno one-to-one: svolto in sedi diverse dall’azienda, sedi terze (es: hotel) o presso la sede del coach.
  • Coaching a distanza one-to-one: svolto online, tramite media (telefono, email, videochiamate). È efficace ma idealmente va intervallato da sessioni in presenza, da considerare come strumento ausiliario rispetto ad altre azioni più forti e in presenza. 
  • Training in sede d’azienda (in-house): l’azione formativa sul gruppo, se svolta in azienda, rende più difficile (anche se non impossibile) svolgere active training. Enorme rischio di “inquinamento” del training da parte dell’ambiente sociale, con distrazioni, chiamate dei partecipanti per urgenze, rumori di fondo fisici e psicologici. Grave rischio e timore di “perdita di faccia” nello svolgere esercitazioni “strane” se osservate da colleghi che non stanno svolgendo il training, avvio di una “spirale di derisione” da parte di chi non sa nemmeno cosa sta succedendo e perché.
  • Location urbane (es: hotel): rischio di aule senza finestre, ambienti chiusi, costrizioni logistiche dettate dalle esigenze alberghiere (orari di pranzo fissi, presenza di altri training). Da scegliere accuratamente cercando luoghi che abbiano un’anima o almeno vetrate con vista.
  • Location remote o immerse nella natura: forte possibilità di aumentare il senso di “ritiro” (come ritiro spirituale, o ritiro di una squadra atletica), aumento di concentrazione, e diminuzione di rumori di fondo e disturbi.
  • Location termali e turistiche: opzioni valide in cui poter usare anche strutture per active training come piscina, o parchi da utilizzare nel training program o nei tempi liberi dei partecipanti.

Il setting di un Deep Coaching deve essere facilitante rispetto allo scopo di fondo: agire sul modo di pensare e sulle credenze profonde, e non solo su sterili conoscenze che non lasciano nessun segno nella vita.

Noi diventiamo ciò che pensiamo

Earl Nightingale
Integrazione tra modelli per il Deep Coaching (Metodo HPM)

Integrazione tra modelli per il Deep Coaching (Metodo HPM)

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano.

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

  1. Focalizzazione corretta del bisogno di cambiamento (da X stato attuale a Y stato di arrivo atteso, sia sul piano dei Saperi che del Saper Fare e del Saper Essere) nell’intervento di Coaching sulle energie fisiche(bioenergetiche). 
  2. Focalizzazione corretta del bisogno di cambiamento (da X stato attuale a Y stato di arrivo atteso, sia sul piano dei Saperi che del Saper Fare e del Saper Essere) nell’intervento di Coaching sulle energie mentali(psicoenergetica),
  3. Focalizzazione corretta del bisogno di cambiamento (da X stato attuale a Y stato di arrivo atteso, sia sul piano dei Saperi che del Saper Fare e del Saper Essere) nell’intervento di Coaching delle micro-competenze in grado di fare la differenza (micro-skills).
  4. Focalizzazione corretta del bisogno di cambiamento (da X stato attuale a Y stato di arrivo atteso, sia sul piano dei Saperi che del Saper Fare e del Saper Essere) nell’intervento di Coaching delle macro-competenze e macro-skills.
  5. Focalizzazione corretta del bisogno di cambiamento (da X stato attuale a Y stato di arrivo atteso, sia sul piano dei Saperi che del Saper Fare e del Saper Essere) nell’intervento di Coaching della Progettualità e capacità di fissare obiettivi da concretizzare.
  6. Focalizzazione corretta del bisogno di cambiamento (da X stato attuale a Y stato di arrivo atteso, sia sul piano dei Saperi che del Saper Fare e del Saper Essere) nell’intervento di Coaching della Spiritualità, evoluzione della missione e visione, dei valori e del Life Purpose (scopo di vita).
  7. Corretta integrazione tra i vari livelli di intervento sulle varie celle, con una regia olistica del timing e del processo di formazione e di Deep Coaching.
  8. Per ciascuna variabile, localizzazione e pulizia del quadro di analisi da letture e diagnosi errate della situazione attuale (False X), da falsi obiettivi o obiettivi distorti (False Y), e da strumenti sbagliati per raggiungere lo scopo (False Z).

La visualizzazione grafica di questo lavoro di integrazione è presentata nel modello seguente:

Rappresentazione schematica del modello di Deep Coaching™ con False X (letture sbagliate della situazione), False Y (identificazione di obiettivi sbagliati o distorti) e False Z (strumenti che deviano dal percorso anziché centrarlo).

I Catalizzatori Formativi

Nel metodo HPM, il formatore/consulente o coach non deve mai dare per scontato che per ottenere cambiamento su una leva sia sufficiente toccare quella singola leva. In sostanza:

  • per agire sui Saperi non è sufficiente lavorare sui Saperi;
  • per agire sul Saper Fare non è sufficiente lavorare sul Saper Fare;
  • per agire sul Saper Essere non è sufficiente lavorare sul Saper Essere.

Lo spirito di riuscita è parte del Metodo HPM così come lo spirito di rinuncia non ne fa parte ed anzi è qualcosa da cui stare alla larga.

Non rinunciare a provare a fare ciò che vuoi veramente fare. Dove c’è amore e ispirazione, non credo che si possa sbagliare.

(Ella Fitzgerald)

Per tentare nuove strade della vita e progetti in cui riversare amore e ispirazione dobbiamo mettere in sinergia diversi campi di forze e diverse “sostanze”.

Nel campo della chimica è noto il fenomeno per cui due sostanze, semplicemente mescolate tra di loro, possono non legarsi affatto e rimanere divise. Se prendi delle palline di ferro e le metti in un bicchiere il ferro non si scioglierà nell’acqua, ma rimarrà sotto forma di palline. Se versi una pastiglia di aspirina nel bicchiere invece questa si scioglierà e avrai ottenuto un liquido diverso dalla semplice acqua.

Perché le strutture delle diverse molecole si leghino tra di loro profondamente è necessaria la presenza di un catalizzatore. La Catalisi è quindi il fenomeno per cui alcune reazioni chimiche vengono accelerate (catalisi positiva) o ritardate (catalisi negativa) dalla presenza di alcune sostanze, i catalizzatori.

Lo stesso accade nella formazione e nel cambiamento. Se prendiamo la “sostanza umana”, l’essere umano, e vi aggiungiamo nuovi concetti per “mere exposure” (semplice esposizione), il soggetto non li farà mai veramente propri. La nostra esperienza ci porta alla consapevolezza della necessità di utilizzare i catalizzatori positivi (es. l’azione concreta in cui sia necessario utilizzare veramente i nuovi concetti), così come di rimuovere i catalizzatori negativi dal processo formativo.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

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Temi e Keywords dell’articolo:

  • Ascolto attivo
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  • Energie Mentali
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  • Mere exposure
  • Microcompetenze
  • Progettualità
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  • Saper Fare
  • Saperi
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Saperi, Saper Essere, Saper Fare: i tre obiettivi di ogni azione di formazione attiva e del Deep Coaching

Saperi, Saper Essere, Saper Fare: i tre obiettivi di ogni azione di formazione attiva e del Deep Coaching

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano.

Se pensi di aspettare il “momento giusto” per la tua crescita personale e per la tua formazione, sappi che il momento assolutamente perfetto non arriverà mai, e il momento giusto è adesso. Procrastinare, nel senso di posticipare, fa male, ma posticipare la propria formazione fa ancora più male.

Non aspettare. Non sarà mai il momento giusto

Napoleon Hill

Vediamo quindi di approfondire di cosa si parla quando si vuole fare formazione esperienziale e Deep Coaching in modo serio.

Una divisione classica degli obiettivi formativi distingue tra:

  • Saperi: teorie, terminologie, conoscenze, elementi culturali e saperi tecnici da acquisire;
  • Saper Fare: le classiche “skills” o competenze pratiche;
  • Saper Essere: gli atteggiamenti, i comportamenti interpersonali, i sistemi di credenze, i valori di fondo che adottiamo, e le priorità generate dal “modo di essere”.

Nel mondo anglofono, si riferisce spesso lo stesso concetto come “triangle” of attitudes, skills and knowledge (triangolazione tra atteggiamenti, capacità e conoscenza). La derivazione di questa tipologia può essere ricercata soprattutto negli studi di Bloom degli anni ‘50, che distingue tre diversi domini di apprendimento[1]

  • cognitive – cognitivo (il conoscere);
  • affective – affettivo (atteggiamenti, sentimenti);
  • psychomotor – psicomotorio (relativo al fare).

Negli studi di Bloom, tali categorie vengono ulteriormente sub-analizzate, con individuazione di ulteriori sotto-domini e sotto-variabili, di estremo interesse (rimandiamo il lettore all’opera originale per ulteriori approfondimenti). 

Nel metodo HPM, non volendo e potendo in questa sede fare uno studio storico retrospettivo, ci proponiamo di concentrarci su un utilizzo delle categorie il più operativo possibile. 

Per ciascuno di questi elementi proponiamo come necessario calcolare un obiettivo formativo o di coaching specifico, o appurare se sia o meno intenzione del cliente agire su di esso.

Situation Analysis e Goals Analysis

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

Buona focalizzazione delle:

  • conoscenze in ingresso;
  • abilità in ingresso;
  • atteggiamenti preesistenti.

Buona focalizzazione di:

  • conoscenze in uscita e conoscenze attese;
  • abilità in uscita e abilità attese:
  • atteggiamenti in uscita e cambiamenti attesi negli atteggiamenti.

Dobbiamo ora realizzare un passaggio delicato: integrare il modello X-Y e quello dei 3S con il modello HPM che fa da sfondo ad ogni azione di coaching in profondità e di formazione.

Integrazione di modelli diversi come strada maestra per un metodo di coaching olistico.

Dare corpo ad un metodo integrato e olistico è l’obiettivo del sistema HPM.
Il metodo HPM è un metodo olistico che spinge la persona verso l’osare incursioni in nuovi territori del sapere, del saper essere, del saper fare, consapevoli che nessun successo è facile ma richiede anzi prova ed errore.

Ho sempre tentato. Ho sempre fallito.
Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora.
Fallisci meglio

Samuel Beckett

La sigla HPM comprende il senso del “dare forma”, costruire o modellare (Modeling), ma anche produrre impulso e stimolazione positiva. 

Si applica, a seconda degli scopi sottostanti, al fronte del potenziale umano (Human Potential Modeling), o al lato della prestazione umana (Human Performance Modeling)[1].

I due lati della medaglia sono corrispondenti, in quanto l’accesso al proprio potenziale è la base sia per il benessere che per prestazioni efficaci quando serve. 

Il principio fondamentale risponde al bisogno primario di ogni persona di liberare e crescere le risorse individuali, essere sé stessi al massimo livello possibile, accedendo a nuovi livelli di benessere, autorealizzazione, e pienezza della vita. 

In ultimo, si tratta di un viaggio verso la libertà.

La libertà della tua mente.

La libertà del tuo spirito, che mai nessuna gabbia potrà racchiudere. Nel Metodo HPM è previsto ampio spazio per le tecniche di training mentale e di rilassamento, con una moltitudine di approcci ed esercizi, e tuttavia il principio di fondo di “tenere duro” nel proprio tendere alla crescita personale è presente e forte

Ci sono due regole nella vita:
1. Non mollare mai,
2. Non dimenticare mai la regola n°1

Duke Ellingto

Possiamo fare un grande sforzo di integrazione fra modelli diversi per arrivare ad un coaching veramente olistico e ad una formazione veramente profonda ed olistica.
Per ciascuna delle sei celle del modello HPM, dobbiamo chiederci che cambiamenti vorremmo produrre, “da dove a dove” vorremmo portare la persona, e questo sia sui saperi (conoscenze), sui saper fare (competenze) e sugli atteggiamenti e valori (saper essere).

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Deep coaching. Il Metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

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  • Human Potential Modeling
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  • Metodo Olistico
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  • Obbiettivi
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  • Saper Fare
  • Saperi
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  • Valori

Agire sui “saperi” tramite il Modello XY e gli obiettivi di apprendimento

Articolo estratto dal testo “Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, è l’illusione della conoscenza.

Stephen Hawking

Agire sui saperi tramite il modello X-Y significa chiedersi quale “information gap” vogliamo colmare. Significa chiedersi “cosa deve sapere la persona dopo questo intervento di formazione o coaching, che prima non sapeva?”. I saperi sono importanti ma non sufficienti. Ed inoltre, fare “lezioni” è spesso un metodo insufficiente per creare saperi veri, solidi e interiorizzati.

Trasferire “Saperi” in modalità accademica significa trasmettere conoscenze teoriche, dati, elementi conoscitivi o culturali, tramite il metodo “ad una via”, nel quale un oratore o docente parla e/o scrive su un foglio, espone slides o schemi, legge documenti, e altri metodi similari. È il classico metodo della “lezione frontale” composta da un oratore e da un pubblico (più o meno ricettivo).

La lezione classica o frontale ha numerosi limiti e alcuni pregi. Per i pregi, come evidenzia Castagna (2003). “…. È un momento razionalizzante per antonomasia, perciò necessario nella formazione comportamentale[1].” 

La lezione si presta bene unicamente rispetto all’obiettivo di trasferire schemi, vocabolari, modelli e concetti, prima, durante o dopo un training program, ma non è assolutamente da confondere con la totalità di un training program – da considerare come azione olistica ed esperienziale, ed ancora meno è assimilabile ad un Deep Coaching, un coaching che vada veramente in profondità. 

Agire sui "saperi" tramite il Modello XY e gli obiettivi di apprendimento

Il limite insito nel procedimento della lezione risiede nel ruolo di ascoltatore passivo in cui sono relegati i discenti, limite che facilmente si ripercuote sul loro apprendimento. Come sottolinea Castagna (2003)

“Scarsa memorizzazione dei concetti e rapida caduta del livello di attenzione, derivanti dalla fatica insita nell’ascoltare, sono solo alcuni dei rischi in cui incorre lo spettatore passivo che assiste ad una lezione[2].”

Anche Knowles (2002) fa notare che:

“Coloro che escono dal nostro sistema scolastico non sanno come apprendere, sanno solo come ricevere un insegnamento.” [3]

La tassonomia di Bloom sugli Educational Objectives (obiettivi di apprendimento):

Se vogliamo trasmettere dei saperi, dobbiamo almeno chiederci quale uso desideriamo si faccia degli stessi. Può essere utile tornare qui sulla tassonomia di Bloom[4] sugli Educational Objectives relativa a sei livelli di apprendimento:

  1. remember, recall & knowledge: ricordo, conoscenza dei concetti;
  2. comprehension, understanding: capire veramente il tema;
  3. application: saper applicare il tema o modello ad un problema;
  4. analysis: saper analizzare usando il tema o modello studiato;
  5. synthesis: sintetizzare, saper creare e progettare facendo uso dei concetti appresi e dei modelli dimostrando capacità di sintesi;
  6. evaluation: saper valutare facendo uso dei concetti e modelli appresi.
La Tassonomia di Bloom

Come si nota, le fasi superiori, per concretizzarsi, richiedono una “scalata” dal basso verso l’alto, verso capacità autonome.

Secondo Bloom, definire gli obiettivi o goals formativi in termini di capacità comportamentali aiuta a fissarli meglio[5].

Da questa riflessione sono nate molte applicazioni successive che collegano ogni fase a verbi d’azione che possono essere utilizzati come target di apprendimento. Un primo esempio viene da Huitt[6]:


Target di apprendimento - Huitt

Da questo lavoro di ricerca estrapoliamo il seguente principio del Deep Coaching:

Principio 6: Progressione dei livelli di conoscenza e Modelli di Crescita nel Deep Coaching

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

  1. remember, recall & knowledge: ricordo, conoscenza dei concetti; riuscire a ricordare le variabili chiave di un modello di sviluppo che si intende usare;
  2. comprehension, understanding: capire veramente il tema; capire veramente il cuore e il senso del modello;
  3. application: saper applicare il tema o modello ad un problema;
  4. analysis: saper analizzare un obiettivo o problema usando il tema o modello studiato;
  5. synthesis: sintetizzare, saper sintetizzare le variabili chiave, saper creare e progettare facendo uso dei concetti fondamentali appresi nel modello;
  6. evaluation: saper compiere valutazioni, di persone, aziende o obiettivi e problemi, facendo uso dei concetti appresi nel modello.

Se non compiamo questa scalata che parte dalla conoscenza concettuale fino ad arrivare ad utilizzare pienamente un modello, potremmo dire di avere solo un’effimera illusione di conoscenze, e non conoscenze vere.


[1] Castagna; M (2003). “Role playing, autocasi ed esercitazioni psicosociali” Franco Angeli, Milano, p.16.

[2] Castagna, M (2003). “Progettare la formazione. Guida metodologica per la progettazione del lavoro in aula” Franco Angeli, Milano, p. 46.

[3] Knowles, M (2002). “Quando l’adulto impara: pedagogia e andragogia” Franco Angeli, Milano.

[4] Bloom Benjamin S. and David R. Krathwohl. Taxonomy of Educational Objectives (1956). The Classification of Educational Goals, by a committee of college and university examinersHandbook I: Cognitive Domain. New York, Longmans, Green.
Bloom S. Benjamin (1984). Taxonomy of educational objectives. Allyn and Bacon, Boston, MA. Pearson Education. 

[5] Bloom, Robert S., Stating Educational Objectives in Behavioral Terms, Nursing Forum 14(1), 1975, 31-42. 

[6] Huitt, W. (2004). Bloom et al.’s taxonomy of the cognitive domain. Educational Psychology Interactive. Valdosta, GA: Valdosta State University. Retrieved [16-aug-06], from http://chiron.valdosta.edu/whuitt/col/cogsys/bloom.html

Per approfondire il Modello Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in e la formazione attivaqui trovi il link relativo al Libro del Dott. Daniele Trevisani edito da FrancoAngeli

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  • Energie psicologiche
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  • Formazione esperienziale
  • Liberare il potenziale
  • Miglioramento personale
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  • Perseveranza
  • Progettualità
  • Reality Check
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  • Skills

L’insufficienza del “saper fare” e del “saper essere”, i punti di arresto del percorso

Articolo estratto dal testo “Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

L’insufficienza del Saper Fare:

Sulla stessa linea, per incrementare il Saper Fare non è sufficiente agire sulla pratica. Se desidero apprendere le competenze necessarie per realizzare un bilancio aziendale, devo studiare e conoscere i vocaboli che utilizzo e i concetti sottostanti. Chiunque con un minimo addestramento può svolgere un’operazione focalizzata come il “prendere il numero della casella A4 e dividerlo per il valore della cella B5” ed ottenere così un risultato. 

La vera differenza sta tra gli esecutori di azioni e i gestori/protagonisti di azioni. Chi “Sa” e non solo Sa Fare può costruirsi un dato mancante partendo dai suoi costituenti primari, può andarsi a cercare i dati mancanti, può agire senza bisogno di supervisione assidua e istruzioni continue. Senza il passaggio sui Saperi, il Saper Fare è pura esecuzione di istruzioni.

Ricorda sempre: ciò che non sai o non sai fare è temporaneo, non hai ancora le conoscenze o le abilità per farlo ma con un buon coaching ci potrai arrivare sicuramente.

Il tuo passato dice molto di te ma il tuo impegno dice ancora di più rispetto a dove potrai arrivare.

Non conta da dove vieni, ma dove stai andando.

Ella Fitzgerald

L’insufficienza del Saper Essere:

Notiamo che per ottenere un cambiamento positivo sul Saper Essere non è sufficiente un lavoro meditativo o di riflessione, e non basta la volontà di cambiare. Molte persone passano la vita con la volontà di cambiare ma non riescono a farlo.

“Saper Essere” il direttore marketing di una azienda richiede molto di più dei soli concetti di marketing che chiunque possiede dopo aver superato un esame universitario, e molto di più dei singoli Saper Fare (es: saper fare un’intervista ad un cliente, saper fare un piano pubblicitario, e altre skills). 

Il Saper Essere di un Direttore Marketing è anche Saper Essere un leader (condottiero, punto di riferimento) della sua squadra, saper essere un buon team-player con gli altri direttori, saper essere utile alla missione aziendale e al clima dell’azienda. 

Ma il nostro messaggio va oltre: non è possibile incrementare il Saper Essere senza disporre di Saperi correlati e Saper Fare correlati. 

Facciamo un esempio nella terapia: Saper Essere più positivo, meno negativo, più ottimista, e meno pessimista. L’intervento del terapeuta può avere successo molto limitato se il cliente non riesce poi a saper tradurre questo diverso modo di essere in un momento pratico quale tagliare con felicità un ramo di un albero mentre si fa giardinaggio (anziché vivere il momento con nervosismo e irritazione), o non prova il piacere di sentire il proprio corpo lavorare mentre si allena. 

E del resto, come è possibile cambiare il Saper Essere se il quadro delle credenze, dei saperi, risulta immutato? Il Saper Essere è frutto di una cultura personale, e non toccando questa cultura il cambiamento può essere solo effimero. Il Deep Coaching punta quindi ad una immissione di Saperi, di Saper Fare e di Saper Essere, in modo sinergico e correlato, per arrivare ad un vero cambiamento positivo della persona.

Il segreto per andare avanti è iniziare.

Mark Twain
I punti di arresto del percorso

I punti di arresto del percorso:

Un cliente può lavorare per anni sul Saper Essere (diventando più centrato, più calmo e riflessivo, meno impulsivo, meno obbligato a fingere e più sé stesso) ottenendo grandi risultati dallo skills training psicolinguistico e bioenergetico, ma prima o poi si incontra un punto di arresto del percorso.

Arrestarsi di fronte alla “soglia dei Saperi” significa non accendere il fuoco sacro della curiosità intellettuale: perché ottengo questo risultato? Mi interessa solo il risultato o anche capire perché succede ciò che mi succede? 

Il passaggio dalla “soglia dei risultati” (vedere il cambiamento che funziona) alla “soglia dei Saperi” (capire i perché dei meccanismi) è ciò che fa la differenza tra il cambiamento di superficie e il cambiamento consapevole.

Altro esempio in campo aziendale, Saper Essere un leader. Alcuni confondono tremendamente la leadership con l’aggressività, dimenticando che un leader puramente aggressivo finirà per tenere con sé solo gli yes men o i “manager di convenienza”, quelli che abitano vicino all’azienda e non hanno voglia di traslocare, o quelli che hanno una bella visuale dall’ufficio e per questa riescono a digerire anche i climi organizzativi peggiori, e altri casi di questo tipo.

Allontanare i migliori non è un risultato. Ecco, quindi, che Saper Essere un leader richiede anche una cultura della leadership (uno studio delle teorie, modelli e esperienze altrui, una visuale ampia) e uno studio dei Saper Fare inerenti la leadership, come il Saper Fare un piano motivazionale, saper ricompensare psicologicamente (rewards psicologici), realizzare un Total Compensation Plan (piano di remunerazione e incentivazione), e altri saperi pratici. Nessun Saper Essere può dirsi completo se privo di capacità pratiche (a valle) e conoscenza/cultura (a monte).

Un Saper Essere privo di cultura (Saperi) e di traduzione in capacità pratiche (Saper Fare) è pura teoria, è un contenitore vuoto.

Saper essere costanti e perseveranti nel proprio viaggio di crescita personale è un obiettivo di portata superiore a qualsiasi skill operativa.

Cadendo, la goccia scava la pietra, non per la sua forza, ma per la sua costanza.

Lucrezio

Rimuovere i catalizzatori negativi dal processo di cambiamento: i vettori di sviluppo formativo:

Ogni stato specifico (Saperi, Saper Fare, Saper Essere) diviene vettore di crescita.

Rimuovere i catalizzatori negativi dal processo di cambiamento: i vettori di sviluppo formativo

Un progetto può concentrarsi:

  • sul bisogno di Sapere di più (o conoscere cose nuove), 
  • sul bisogno di Saper Fare di più o di cambiare il modo di fare, 
  • sul bisogno di Saper Essere diversi e migliori in alcune situazioni particolari della vita professionale, soprattutto quelle più sfidanti.

Tuttavia, occorre sempre ricordare che:

  • i nuovi saperi possono entrare in conflitto con i precedenti. Quando si pensava che la terra fosse piatta, immaginiamo la reazione verso un formatore intento a sostenere che la terra fosse sferica. Poiché io la vedo piatta, la penso piatta, e tutti dicono che è piatta, come posso crederti? Chi sei tu per dire che è una sfera? Sei pazzo?
  • i cambiamenti proposti sul modo di agire possono essere rifiutati per regressione verso l’abitudine, paura del cambiamento (costo del cambiamento), o per rifiuto della fonte della proposta (effetto boomerang);
  • i cambiamenti desiderati sulle componenti più profonde (atteggiamenti, valori, spiritualità, credenze, opinioni) possono non avvenire a causa delle inerzie comportamentali e attitudinali che agiscono sul soggetto stesso, o del rifiuto di cambiamento.

I catalizzatori negativi del cambiamento uccidono il cambiamento e la crescita. 

Nel metodo HPM abbiamo identificato diversi catalizzatori negativi, tra cui esponiamo solo i più critici e frequenti.

  • catalizzatori negativi di sufficienza: pensare di sapere già abbastanza, non avere “sete” o “fame”;
  • catalizzatori negativi di ipo-stimolazione: chiudersi progressivamente agli stimoli esterni;
  • catalizzatori negativi di dogmatismo di appartenenza: aderire a sistemi che eliminano il bisogno di pensare, poiché qualcuno ha già pensato per te, e non si ha voglia di tollerare una possibilità di autocritica o di critica alla scuola di appartenenza: “la mia scuola formativa mi ha insegnato che…  e quindi questo non può essere vero”, oppure “io sono una terapeuta sistemico-relazionale e quindi… non posso essere d’accordo su…”;
  • catalizzatori negativi di esperienza: pensare di sapere perché “faccio questo mestiere già da x anni”;
  • catalizzatori negativi di risultato: pensare di essere “a posto” perché in un certo momento o per un certo periodo si stanno ottenendo dei risultati positivi, dimenticando che possono esservi influenze ambientali che generano tale positività, e i trend mutano nel tempo;
  • catalizzatori negativi di autoefficacia: pensare che “è troppo difficile” e non valga nemmeno la pena tentare;
  • catalizzatori negativi di locus-of-control: pensare che “è un fattore che dipende dal destino, o dagli altri, io non posso farci niente” e allargare questo pensiero anche alla sfera degli interventi possibili;
  • catalizzatori negativi di self-image: pensare che “io non sono adatto per questo ruolo, è qualcosa per persone più brave di me”.

Ricordatevi di guardare le stelle, e non i vostri piedi. Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare, e in cui si può riuscire.

Stephen Hawking

Per approfondire il Modello Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in e la formazione attivaqui trovi il link relativo al Libro del Dott. Daniele Trevisani edito da FrancoAngeli

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I Catalizzatori Formativi, l’insufficienza dei saperi e i momenti della verità

Articolo estratto dal testo “Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

I Catalizzatori Formativi:

Nel metodo HPM, il formatore/consulente o coach non deve mai dare per scontato che per ottenere cambiamento su una leva sia sufficiente toccare quella singola leva. In sostanza:

  • per agire sui Saperi non è sufficiente lavorare sui Saperi;
  • per agire sul Saper Fare non è sufficiente lavorare sul Saper Fare;
  • per agire sul Saper Essere non è sufficiente lavorare sul Saper Essere.

Lo spirito di riuscita è parte del Metodo HPM così come lo spirito di rinuncia non ne fa parte ed anzi è qualcosa da cui stare alla larga.


Non rinunciare a provare a fare ciò
che vuoi veramente fare. 
Dove c’è amore e ispirazione,
non credo che si possa sbagliare.

Ella Fitzgerald

Per tentare nuove strade della vita e progetti in cui riversare amore e ispirazione dobbiamo mettere in sinergia diversi campi di forze e diverse “sostanze”.

Nel campo della chimica è noto il fenomeno per cui due sostanze, semplicemente mescolate tra di loro, possono non legarsi affatto e rimanere divise. Se prendi delle palline di ferro e le metti in un bicchiere il ferro non si scioglierà nell’acqua, ma rimarrà sotto forma di palline. Se versi una pastiglia di aspirina nel bicchiere invece questa si scioglierà e avrai ottenuto un liquido diverso dalla semplice acqua.

Perché le strutture delle diverse molecole si leghino tra di loro profondamente è necessaria la presenza di un catalizzatore. La Catalisi è quindi il fenomeno per cui alcune reazioni chimiche vengono accelerate (catalisi positiva) o ritardate (catalisi negativa) dalla presenza di alcune sostanze, i catalizzatori.

Lo stesso accade nella formazione e nel cambiamento. Se prendiamo la “sostanza umana”, l’essere umano, e vi aggiungiamo nuovi concetti per “mere exposure” (semplice esposizione), il soggetto non li farà mai veramente propri. 

La nostra esperienza ci porta alla consapevolezza della necessità di utilizzare i catalizzatori positivi (es. l’azione concreta in cui sia necessario utilizzare veramente i nuovi concetti), così come di rimuovere i catalizzatori negativi dal processo formativo.

I Catalizzatori Formativi, l'insufficienza dei saperi e i momenti della verità

L’insufficienza dei saperi:

Per incrementare i Saperi non è sufficiente un ascolto one-way o una pura esposizione (mere exposure), per prolungata che sia, ma è necessario utilizzare catalizzatori formativi – ad esempio l’azione su progetti e il problem solving che richiedano di mettere sul campo i nuovi saperi. 

Ad esempio, un preparatore sportivo sta studiando i principi dell’integrazione alimentare, frequenta seminari sugli integratori, legge libri e riviste da anni, ma tutto “scorre” nozionisticamente senza entrare veramente nel patrimonio di abilità personali.

Solo nel momento in cui egli debba preparare un piano di integrazione per uno sportivo potrà veramente mettere “a sistema” i suoi saperi, e scoprire le sue lacune. Nel momento in cui la realtà ci pone di fronte ad un problema che ci obbliga a “sapere”, il sapere diventa urgente e indispensabile. 

Lo stesso discorso vale per il lavoro sulle competenze e saperi manageriali. Possiamo leggere cento libri sulla comunicazione che ci parlano degli “stili comunicativi”, e scoprire che ne esistono tanti, esempio:

  • Poetico
  • Empatico
  • Assertivo
  • Ottimista
  • Pessimista
  • Ingegneristico
  • Anglofono

…e ogni altro stile praticabile. Finché lo leggiamo, sarà solo un vago concetto. Quando invece con tecniche di “active training” qualcuno ce li farà interpretare, ce li farà provare ed allenare, per quanto sia lo sforzo di cambiare stile comunicativo, allora e solo allora il concetto si farà strada in noi e inizierà a passare da un vago “sapere” ad un più concreto “saper fare” e “saper essere”.

Per cambiare davvero e assimilare il nuovo bisogna provare, bisogna sperimentare, bisogna agire, bisogna mettere in conto di fallire, di essere goffi, di apprendere per prova ed errore, fino a raggiungere l’eccellenza.

Sbagliare, in questo metodo, non è veramente sbagliare, ma un passo in più verso il successo.

L’arte di vincere la si impara nella sconfitta.

Simon Bolivar

Test di realtà, reality check, momenti della verità:

Credere di potere è essere già a metà strada.

Theodore Roosevelt

I test di realtà (reality check) sono una tecnica di coaching e formativa sviluppata nel metodo HPM, con la quale si cerca di osservare i comportamenti sul campo di una persona o di un’azienda, in condizioni reali, per acuire la consapevolezza dello stato di cose reale.

Questo vale anche per testare i propri personali comportamenti in prove di verifica dei livelli di competenza ed abilità raggiunti, e fare il punto di un percorso di Deep Coaching.

Un reality check può essere svolto anche per via telefonica per testare la qualità del servizio di un’azienda o di un operatore, o tramite canali digitali o ancora tramite canali interpersonali.

Cosa andiamo ad osservare in un reality check? Questo è un esempio di livelli di analisi per valutare la qualità di un servizio di customer service telefonico:

Reality check applicato alla qualità del servizio telefonico di un contact center con specifica attenzione alle capacità di ascolto.

  1. Cosa voglio (per che motivo sto attivando un contatto)?
  2. Chi contatto?
  3. Attraverso quale canale?
  4. Cosa capiscono di quello che mi serve veramente?
  5. Come ascoltano o come sanno ascoltarmi?
  6. Quanto capiscono?
  7. Come si comportano?
  8. Che principi guida latenti usano?
  9. Da cosa si evince?
  10. Come si sarebbero dovuti comportare?
  11. Che dissonanze emergono?

Un approccio simile è esistente da tempo nel marketing, ad esempio sotto forma di ghost customer technique, dove vengono svolti acquisti reali presso aziende concorrenti, per misurarne la performance, la capacità di servizio e la qualità relazionale. L’applicazione con finalità formative e di coaching si deve (per quanto di nostra conoscenza) a nostre sperimentazioni.

Ad esempio, in un modulo formativo o di coaching dedicato al tema dell’ascolto ed empatia, si può procedere con dei reality check telefonando a concessionarie d’auto per verificare con quanta attenzione i venditori ascoltino i nostri bisogni, o se li ascoltino affatto. Si può verificare se ci offrono una prova di guida, se ci tengono ad avere i nostri dati per richiamarci in caso di bisogno, e tanto altro. 

Dopo una serie di telefonate dove si sarà constatato con mano che le persone non sanno ascoltare o non sono formate ad ascoltare, l’urgenza di un lavoro sull’ascolto aumenta molto. E soprattutto, nasce da una sperimentazione concreta avuta dagli allievi, e non solo da un concetto teoricamente esposto come possibile dal coach o formatore.

L’applicazione che ne realizziamo a fini formativi ha dato eccellenti riscontri in termini di apertura al cambiamento del partecipante all’evento formativo. 

reality check possono essere sia rivolti a sé stessi (es: cercare di risolvere un problema), sia sulla propria organizzazione (vedere come essa risponde, come le singole persone rispondono) o su altri (realizzando un apprendimento che deriva dall’osservazione mirata di comportamenti altrui).

Grazie agli auto-test di realtà (vedere se si è in grado di risolvere un problema reale), posso scoprire qualcosa di me, posso “sapere di non sapere”. Ad esempio, se voglio diventare un preparatore atletico, grazie al test di realtà prendo consapevolezza di avere molta conoscenza teorica sui singoli integratori nutrizionali, ma di non avere ben chiaro come funzioni la relazione tra diversi integratori, la sinergia tra sostanze, cioè se rischio di mandare il mio cliente all’ospedale con un’intossicazione associando diverse sostanze tra di loro.

Posso anche scoprire di sapere molto su quali integratori siano utili per uno sport di potenza, ma la realtà può mettermi di fronte un atleta di karate che abbisogna di velocità esplosiva e non di molta massa muscolare, e questo può mettere in crisi la mia presunzione iniziale di conoscenza.

Ecco, quindi, che solo dopo avere affrontato molti casi in cui devo mettere alla prova e rivedere le mie conoscenze potrò dire di possedere veramente le nozioni (i Saperi) sugli integratori. Senza il passaggio sul “saper fare” questo non sarebbe stato possibile. E l’esempio degli integratori per un preparatore atletico è solo un esempio, lo stesso principio si potrebbe applicare ad un problema manageriale, o di leadership, o di comunicazione, e a qualsiasi altro obiettivo.

Per approfondire il Modello Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in e la formazione attivaqui trovi il link relativo al Libro del Dott. Daniele Trevisani edito da FrancoAngeli

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Studio Trevisani – Formazione Aziendale blog con aggiornamenti giornalieri
Website Dr. Daniele Trevisani (English)
Comunicazione Aziendale
Intercultural Negotiation (English)

Altre risorse online:

Pubblicazioni e libri dott. Daniele Trevisani (Books published)
Rivista online gratuita di Comunicazione, Potenziale Umano e Management
Canale YouTube
Coaching World Federation (CWF)
Linkedin Profile Dr. Daniele Trevisani

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Saperi, Saper Essere, Saper Fare: i tre obiettivi di ogni azione di formazione attiva e del Deep Coaching

Articolo estratto dal testo “Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Se pensi di aspettare il “momento giusto” per la tua crescita personale e per la tua formazione, sappi che il momento assolutamente perfetto non arriverà mai, e il momento giusto è adesso.

Procrastinare, nel senso di posticipare, fa male, ma posticipare la propria formazione fa ancora più male.

Non aspettare. Non sarà mai il momento giusto.

Napoleon Hill

Vediamo quindi di approfondire di cosa si parla quando si vuole fare formazione esperienziale e Deep Coaching in modo serio.

Una divisione classica degli obiettivi formativi distingue tra:

  • Saperi: teorie, terminologie, conoscenze, elementi culturali e saperi tecnici da acquisire;
  • Saper Fare: le classiche “skills” o competenze pratiche;
  • Saper Essere: gli atteggiamenti, i comportamenti interpersonali, i sistemi di credenze, i valori di fondo che adottiamo, e le priorità generate dal “modo di essere”.

Nel mondo anglofono, si riferisce spesso lo stesso concetto come “triangle” of attitudes, skills and knowledge (triangolazione tra atteggiamenti, capacità e conoscenza). La derivazione di questa tipologia può essere ricercata soprattutto negli studi di Bloom degli anni ‘50, che distingue tre diversi domini di apprendimento[1]:

  • cognitive – cognitivo (il conoscere);
  • affective – affettivo (atteggiamenti, sentimenti);
  • psychomotor – psicomotorio (relativo al fare).

Negli studi di Bloom, tali categorie vengono ulteriormente sub-analizzate, con individuazione di ulteriori sotto-domini e sotto-variabili, di estremo interesse (rimandiamo il lettore all’opera originale per ulteriori approfondimenti). 

Nel metodo HPM, non volendo e potendo in questa sede fare uno studio storico retrospettivo, ci proponiamo di concentrarci su un utilizzo delle categorie il più operativo possibile. Per ciascuno di questi elementi proponiamo come necessario calcolare un obiettivo formativo o di coaching specifico, o appurare se sia o meno intenzione del cliente agire su di esso.

Integrazione 3 Saperi con modello X Y

Principio 4 – Situation Analysis e Goals Analysis:

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

Buona focalizzazione delle:

  • conoscenze in ingresso;
  • abilità in ingresso;
  • atteggiamenti preesistenti.

Buona focalizzazione di:

  • conoscenze in uscita e conoscenze attese;
  • abilità in uscita e abilità attese:
  • atteggiamenti in uscita e cambiamenti attesi negli atteggiamenti.

Dobbiamo ora realizzare un passaggio delicato: integrare il modello X-Y e quello dei 3S con il modello HPM che fa da sfondo ad ogni azione di coaching in profondità e di formazione.

Integrazione di modelli diversi come strada maestra per un metodo di coaching olistico

Integrazione di modelli diversi come strada maestra per un metodo di coaching olistico

Dare corpo ad un metodo integrato e olistico è l’obiettivo del sistema HPM.

Il metodo HPM è un metodo olistico che spinge la persona verso l’osare incursioni in nuovi territori del sapere, del saper essere, del saper fare, consapevoli che nessun successo è facile ma richiede anzi prova ed errore.

Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.

Samuel Beckett

La sigla HPM comprende il senso del “dare forma”, costruire o modellare (Modeling), ma anche produrre impulso e stimolazione positiva. 

Si applica, a seconda degli scopi sottostanti, al fronte del potenziale umano (Human Potential Modeling), o al lato della prestazione umana (Human Performance Modeling)[2].
I due lati della medaglia sono corrispondenti, in quanto l’accesso al proprio potenziale è la base sia per il benessere che per prestazioni efficaci quando serve. 

Il principio fondamentale risponde al bisogno primario di ogni persona di liberare e crescere le risorse individuali, essere sé stessi al massimo livello possibile, accedendo a nuovi livelli di benessere, autorealizzazione, e pienezza della vita. 

In ultimo, si tratta di un viaggio verso la libertà.
La libertà della tua mente.
La libertà del tuo spirito, che mai nessuna gabbia potrà racchiudere.

Nel Metodo HPM è previsto ampio spazio per le tecniche di training mentale e di rilassamento, con una moltitudine di approcci ed esercizi, e tuttavia il principio di fondo di “tenere duro” nel proprio tendere alla crescita personale è presente e forte.

Ci sono due regole nella vita:
1. Non mollare mai;
2. Non dimenticare mai la regola n° 1.

Duke Ellington

Possiamo fare un grande sforzo di integrazione fra modelli diversi per arrivare ad un coaching veramente olistico e ad una formazione veramente profonda ed olistica.

Per ciascuna delle sei celle del modello HPM, dobbiamo chiederci che cambiamenti vorremmo produrre, “da dove a dove” vorremmo portare la persona, e questo sia sui saperi (conoscenze), sui saper fare (competenze) e sugli atteggiamenti e valori (saper essere).

Principio 5 – Integrazione tra modelli per il Deep Coaching (Metodo HPM):

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

  1. Focalizzazione corretta del bisogno di cambiamento (da X stato attuale a Y stato di arrivo atteso, sia sul piano dei Saperi che del Saper Fare e del Saper Essere) nell’intervento di Coaching sulle energie fisiche (bioenergetiche). 
  2. Focalizzazione corretta del bisogno di cambiamento (da X stato attuale a Y stato di arrivo atteso, sia sul piano dei Saperi che del Saper Fare e del Saper Essere) nell’intervento di Coaching sulle energie mentali (psicoenergetica),
  3. Focalizzazione corretta del bisogno di cambiamento (da X stato attuale a Y stato di arrivo atteso, sia sul piano dei Saperi che del Saper Fare e del Saper Essere) nell’intervento di Coaching delle micro-competenze in grado di fare la differenza (micro-skills).
  4. Focalizzazione corretta del bisogno di cambiamento (da X stato attuale a Y stato di arrivo atteso, sia sul piano dei Saperi che del Saper Fare e del Saper Essere) nell’intervento di Coaching delle macro-competenze e macro-skills.
  5. Focalizzazione corretta del bisogno di cambiamento (da X stato attuale a Y stato di arrivo atteso, sia sul piano dei Saperi che del Saper Fare e del Saper Essere) nell’intervento di Coaching della Progettualità e capacità di fissare obiettivi da concretizzare.
  6. Focalizzazione corretta del bisogno di cambiamento (da X stato attuale a Y stato di arrivo atteso, sia sul piano dei Saperi che del Saper Fare e del Saper Essere) nell’intervento di Coaching della Spiritualità, evoluzione della missione e visione, dei valori e del Life Purpose (scopo di vita).
  7. Corretta integrazione tra i vari livelli di intervento sulle varie celle, con una regia olistica del timing e del processo di formazione e di Deep Coaching.
  8. Per ciascuna variabile, localizzazione e pulizia del quadro di analisi da letture e diagnosi errate della situazione attuale (False X), da falsi obiettivi o obiettivi distorti (False Y), e da strumenti sbagliati per raggiungere lo scopo (False Z).

La visualizzazione grafica di questo lavoro di integrazione è presentata nel modello seguente:

Figura 5 - Rappresentazione schematica Modello Deep Coaching

Figura 6 - Rappresentazione schematica Modello Deep Coaching con false x e false z

[1] Bloom, B.S.(Ed.) (1956-1964). Taxonomy of Educational Objectives. New York: David McKay Company Inc.

[2] In altre parole, la declinazione della sigla HPM può riguardare sia il tema del dare impulso e forma (Modeling) al potenziale non competitivo delle persone (Human Potential Modeling), sia il lato competitivo, la prestazione, il fronte agonistico (Human Performance Modeling).

Per approfondire il Modello Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in e la formazione attivaqui trovi il link relativo al Libro del Dott. Daniele Trevisani edito da FrancoAngeli

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

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